L’annuncio di Ocalan. Dal naufragio dei Colloqui di Oslo a oggi la lunga ricerca della pace

L’annuncio di Ocalan. Dal naufragio dei Colloqui di Oslo a oggi la lunga ricerca della pace

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Già nel 2013 l’invito ad abbandonare la lotta armata. All’epoca il cessate il fuoco bilaterale aveva reso possibile l’offensiva contro l’Isis

 

«L’appello lanciato da Devlet Bahceli, insieme alla volontà espressa dal presidente (Erdogan, ndr) e alle risposte positive degli altri partiti politici, ha creato le condizioni per cui lancio un appello a deporre le armi e me ne assumo la responsabilità storica». Con queste parole, Abdullah Ocalan si è rivolto al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) affinché deponga le armi e, dopo un congresso, dichiari lo scioglimento del partito.

L’APPELLO non è il primo del suo genere. Già nel 2013 un testo simile, letto durante le celebrazioni per il Newroz, il capodanno curdo, aveva portato al ritiro delle forze di guerriglia dalla Turchia. In quel caso, il messaggio era un risultato dei «colloqui di Oslo» iniziati nel 2007 e che hanno rappresentato il primo percorso con reali possibilità di raggiungere una soluzione politica alla questione curda in Turchia, mettendo fine alla lotta armata iniziata nell’agosto del 1984. Ai colloqui partecipavano direttamente figure di primo piano del Pkk come Mustafa Karasu e Sozdar Avesta, faccia a faccia con alti funzionari del servizio di intelligence nazionale. Tra cui, a partire dal 2010, Hakan Fidan, attuale ministro degli esteri della repubblica di Turchia.

NEL SUO LIBRO 2005 – 2015 Türkiye – Pkk gorusmeleri (2005 – 2015 Negoziati Turchia – Pkk) il giornalista curdo Amed Dicle aveva racchiuso le ragioni che hanno portato al collasso dei colloqui di Oslo in tre problematiche fondamentali: l’insistenza dello stato turco sul disarmo unilaterale, il suo rifiuto di porre fine all’isolamento di Öcalan e l’assenza di qualsiasi riforma legale o costituzionale. Alcune di queste problematiche sembrano tornare nei negoziati odierni. Le Forze di difesa del popolo (Hpg) legate al Pkk hanno già dichiarato l’impossibilità di arrivare ad un disarmo senza un percorso che parta da un cessate il fuoco, e la liberazione di Ocalan è stata più volte definita una condizione fondamentale affinché il partito possa dichiarare la fine della lotta armata. Queste posizioni sembrano in conflitto con l’atteggiamento del governo turco, considerando che ci si aspettava un messaggio video dal leader curdo imprigionato, mentre l’appello è in fine arrivato in forma scritta. Secondo il ministro della Giustizia turco un videomessaggio dal carcere avrebbe violato le normative turche, divieto definito «poco serio» da Besê Hozat, co-presidente dell’Unione delle comunità del Kurdistan (Kck).

SEBBENE SIANO collassati, i colloqui di Oslo hanno gettato le basi per una seconda tornata di negoziati, avvenuti tra il 2013 e il 2015. «Abbiamo sacrificato gran parte delle nostre vite per il popolo curdo, abbiamo pagato un prezzo alto. Nessuno di questi sacrifici, nessuna delle nostre lotte, è stata vana. Perché come conseguenza di ciò, il popolo curdo ha riacquistato la sua identità e le sue radici. Siamo ormai giunti al punto di mettere a tacere le armi e lasciare che le idee e la politica parlino – Affermava Ocalan nella sua lettera del 2013 – Questa non è una fine, ma un nuovo inizio. Questo non è abbandonare la lotta: stiamo iniziando una lotta diversa».

All’epoca, il cessate il fuoco bilaterale aveva consentito al Pkk di concentrare i propri sforzi militari contro lo Stato islamico di Iraq e Siria. In effetti, la sconfitta dell’Isis a Kobane e il salvataggio degli ezidi intrappolati a Shengal nell’agosto 2014 sono state possibili anche grazie ai negoziati in corso. Allo stesso modo, una cessazione delle ostilità, anche temporanea, potrebbe rafforzare l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del Nord-Est (Daanes) nei negoziati in corso per la costruzione della nuova Siria. Non a caso la conferenza stampa è stata seguita da migliaia di persone non solo sui maxischermi installati a Qamishlo e Kobane, ma soprattutto dal presidio alla diga di Tishreen.

LE REALI intenzioni della Turchia non sono ancora chiare. Nel 2015 fu proprio il successo dei combattenti curdi in Siria, insieme al successo elettorale del Partito democratico dei popoli Hdp, a spingere Erdogan a negare l’esistenza dell’accordo in 10 punti firmato appena quattro mesi prima proprio da Ocalan.

* Fonte/autore: Tiziano Saccucci, il manifesto



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