Spyware, il primo alert al presidente di Refugees in Libya

Spyware, il primo alert al presidente di Refugees in Libya

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David Yambio avvisato da Apple il 13 novembre scorso. È una delle vittime che hanno denunciato i crimini di Elmasry. Dall’inchiesta indipendente si attende conferma che sia stato usato Paragon, come per Casarini, Caccia e Cancellato

 

«Alert: Apple ha rilevato l’attacco di uno spyware mercenario contro il tuo iPhone». Sono le 17.06 del 13 novembre scorso quando questo messaggio compare sullo schermo del cellulare di David Yambio. Sotto l’oggetto della mail, inviata dalla casa madre del dispositivo, l’avviso: «È probabile che l’attacco ti abbia preso di mira specificamente per chi sei o per cosa fai».

Ventisei anni, rifugiato politico sud sudanese, Yambio ha fondato e presiede l’organizzazione Refugees in Libya. Dall’altro lato del Mediterraneo ha guidato la protesta di fronte agli uffici dell’Unhcr che tra ottobre 2021 e gennaio 2022 ha unito quasi duemila richiedenti asilo nella richiesta di un’evacuazione umanitaria. Superato il mare continua ad aiutare, con gli altri membri dell’associazione, le persone in movimento bloccate nei centri di detenzione in Tunisia e Libia e a diffondere, attraverso un’informazione quotidiana sui social, le violazioni dei diritti umani perpetrate da quelle parti. Ha anche denunciato le violenze del capo della polizia giudiziaria di Tripoli Osama Najeem Elmasry, arrestato su mandato della Corte penale internazionale e rimandato in Libia su un aereo di Stato dal governo Meloni.

Ricevuto l’alert Yambio si è rivolto ad Artur Papyan, direttore del Media diversity institute di Yerevan e ricercatore presso il CyberHub-Am, che sostiene i diritti digitali della società civile armena. È lui ad avergli consigliato di contattare The Citizen Hub, il laboratorio canadese che sta studiando lo spyware attraverso l’analisi dei dispositivi infettati.

«Non posso ancora confermare che anche il mio è stato colpito da Paragon. Lo dirà l’inchiesta che stiamo conducendo. I risultati dovrebbero arrivare in settimana. Vogliamo capire quando è iniziato lo spionaggio, chi c’è dietro, cosa cercava», dice Yambio al manifesto. Bisognerà attendere ancora un po’, dunque, per avere la certezza che il software usato contro l’attivista sud sudanese è lo stesso che ha colpito Luca Casarini e Beppe Caccia di Mediterranea, il direttore di Fanpage Francesco Cancellato e l’imprenditore-giornalista, libico ma esule in Svezia, Husam El Ghomati.

Di sicuro, però, Yambio conosce bene i primi due, con cui ha condiviso numerose iniziative politiche, e ha ricevuto l’avviso dell’hackeraggio in anticipo su tutti. Agli altri la comunicazione è arrivata attraverso Whatsapp dalla società Meta il 31 gennaio scorso. Il fatto che il rifugiato sia stato allertato da Apple significa che delle sette utenze italiane sotto controllo di cui ha avuto notizia l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale da Meta quattro non hanno ancora un’identità.

«Iniziano sempre dai migranti, dai meno privilegiati e poi colpiscono anche gli altri. Quello che è successo è un segnale molto negativo per lo stato della democrazia in Europa. Ero abituato a questi comportamenti dittatoriali in Africa, non qui», afferma Yambio. Sulla vicenda vuole andare fino in fondo perché, ha raccontato ieri in una conferenza stampa all’Europarlamento di Strasburgo, entrando nel suo cellulare qualcuno ha acquisito informazioni sulle vittime di torture, su chi denuncia e testimonia.

«È una minaccia enorme, un modo per cercare di silenziarci e ricattarci – afferma – Se a me che sono in prima linea possono fare questo, cosa può accadere alle persone che si trovano ancora in Tunisia e Libia e rischiano la vita per far sapere quello che sta succedendo?».

* Fonte/autore: Giansandro Merli, il manifesto



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