Trump e Netanyahu d’accordo: «Via i palestinesi da Gaza»

I regali del tycoon: esce dal Consiglio Onu per diritti umani e conferma i tagli all’Unrwa
NEW YORK. Il primo viaggio del premier israeliano Benjamin Netanyahu dopo il mandato di arresto, emesso dalla Corte penale internazionale a novembre 2024 per i crimini di guerra e crimini contro l’umanità, non poteva essere che a Washington, per incontrare Donald Trump. D’altro canto anche per Trump Bibi è il primo leader straniero che accoglie da quando è tornato in carica per un secondo mandato.
I RAPPORTI fra i due leader sembrano più che amichevoli e quello che è un incontro per discutere delle relazioni diplomatiche Usa-Israele e della situazione in Medio Oriente è contemporaneamente anche l’inizio della campagna di Netanyahu per la rielezione, lanciata proprio al fianco di Trump.
A preludio dell’incontro avvenuto nel pomeriggio di Washington, troppo tardi per noi (ne scriveremo sul ilmanifesto.it) Trump ha firmato un ordine esecutivo per ritirare gli Stati uniti dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite e per proibire qualsiasi finanziamento futuro all’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che fornisce la maggior parte degli aiuti umanitari ai rifugiati palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e nel resto del Medio Oriente. Con questo dono si è presentato a un incontro fissato per discutere della seconda fase del cessate il fuoco a Gaza, del programma nucleare iraniano e della possibilità di un accordo per normalizzare le relazioni tra Israele e Arabia Saudita.
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L’incontro è anche un’opportunità per Netanyahu di tracciare una nuova rotta nei suoi rapporti con Trump, che alla fine del suo primo mandato sembrava aver sviluppato un atteggiamento meno amorevole nei confronti del leader israeliano. «A Trump ancora non piace del tutto Bibi, non si fida di Bibi», ha detto ad Axios una fonte anonima vicina al tycoon. Ma il fatto che Netanyahu sia il primo leader straniero a incontrarlo dopo il suo insediamento, è «una testimonianza dell’acume diplomatico di Netanyahu», sottolinea il Times of Israel.
L’ACUME DI TRUMP invece l’ha portato a dichiarare, ieri in modo ufficiale, che Gaza sarà inabitabile per almeno un altro decennio e che i palestinesi non hanno alternativa se non andarsene. Anzi, saranno felici di trasferirsi in Giordania o Egitto.
«Il presidente Trump guarda alla Striscia di Gaza e la vede come un sito di demolizione», ha affermato poco prima del meeting dei due leader un alto funzionario (anonimo) dell’amministrazione Trump, parlando con il Washington Post, in un’anteprima delle discussioni che si sarebbero tenute da lì a poco. Il funzionario ha anche affermato che nell’entourage di Trump si ritiene che l’opera di ricostruzione potrà realizzarsi in non meno di 10-15 anni.
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Nei giorni precedenti l’arrivo di Netanyahu a Washington, Trump ha ripetutamente sollevato l’idea di trasferire i cittadini di Gaza in Egitto e Giordania, idea che entrambe le capitali hanno respinto. I ministri degli esteri di Egitto e Turchia hanno rilasciato una nota congiunta per respingere qualsiasi proposta di spostare o reinsediare i palestinesi in «Paesi al di fuori dei territori palestinesi, sia per scopi a breve che a lungo termine».
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Una proposta di questo tipo, insieme all’arrivo di Netanyahu, non ha generato un’ondata di manifestazioni paragonabile a quella vista a luglio, durante la precedente visita del leader israeliano invitato dal Gop al Congresso, quando alla Casa bianca sedeva Joe Biden. «È in preparazione una manifestazione contro (il piano eversivo trumpista) Project 2025 – ci spiega Joshua Milstein, studente della Columbia che durante la primavera 2024 era stato attivo nelle proteste proPal – e in questa rientreranno anche le proteste per i diritti dei palestinesi».
Di fatto negli Usa ieri, nonostante alcune proteste organizzate dall’unione dei rabbini antisionisti, Voice of Rabbis, non si sono viste le imponenti manifestazioni dei mesi scorsi.
* Fonte/autore: Marina Catucci, il manifesto
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