Gaza. L’arma di Netanyahu nel negoziato di Doha è affamare i palestinesi

Gaza. L’arma di Netanyahu nel negoziato di Doha è affamare i palestinesi

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Dopo 11 giorni di totale blocco degli aiuti, palestinesi allo stremo. Hadi (Onu): mai visto niente del genere. E il negoziato non avanza. Altri otto uccisi dal fuoco israeliano, il bilancio totale supera i 48.500 morti dal 7 ottobre

Dal 12 aprile 2024 Muhannad Hadi è coordinatore umanitario dell’Onu per i Territori palestinesi occupati e vice coordinatore per il processo di pace in Medio Oriente. Il suo curriculum parla da sé: 34 anni ai più alti livelli del World Food Programme e delle Nazioni unite, in Siria, Iraq, Yemen, Sudan, Indonesia, Libano, Egitto.

Ha conosciuto crisi umanitarie in mezzo pianeta, guerre, epidemie e carestie, eppure «quello che ho visto a Gaza non l’avevo visto mai». Hadi lo ha detto ieri ad al Jazeera, di ritorno dall’ennesima visita sul campo, quasi giustificandosi: credevo di avere abbastanza esperienza per affrontare Gaza.

«NON ERO MAI STATO in un luogo dove c’è bisogno di tutto…un anziano mi ha detto: non hai capito, devi guardarci come a due milioni di zombie, siamo due milioni di zombie, i legami familiari sono distrutti, i legami di comunità sono distrutti, la società è distrutta».

La tregua non ha aggiustato niente. Anche se le bombe non cadono più non esistono rifugi sicuri e la guerra ha assunto un’altra forma: il blocco totale degli aiuti umanitari e dell’elettricità, ordinato da Israele rispettivamente dieci e quattro giorni fa, in aperta violazione dell’accordo siglato con Hamas a metà gennaio.

Di camion ne stavano già entrando meno del previsto, ora non passa nulla. «Dopo undici giorni la gente sta di fatto terminando ogni opzione – scrive il giornalista palestinese Hani Mahmoud – Oltre la metà delle cucine di comunità di Gaza sono chiuse perché hanno finito il materiale per cucinare pasti. I mercati sono vuoti, il poco che c’è non è abbastanza per l’enorme domanda creata da questi mesi di devastazione».

I prodotti disponibili hanno prezzi irraggiungibili in un luogo in cui ormai scarseggiano anche monete e banconote. È il totale collasso economico e sociale. Ed è la punizione collettiva di una popolazione civile, con la fame usata – denunciava ieri di nuovo Medici senza Frontiere – come «arma di guerra», «disumana».

A ISRAELE quell’arma serve – o così dice – per piegare Hamas a nuove condizioni, per modificare l’accordo di tregua estendendo la prima fase (terminata il primo marzo scorso) e cancellando la seconda che avrebbe dovuto condurre al ritiro israeliano e al cessate il fuoco permanente. A premere sul governo israeliano sono anche le famiglie dei 59 ostaggi israeliani ancora a Gaza: in 50 si sono rivolte con una petizione alla Corte suprema per costringere il primo ministro Netanyahu a riattaccare la spina della corrente e il flusso di aiuti perché, dicono, l’assenza di cibo ed elettricità mette in pericolo la vita dei loro cari.

Se non c’è cibo e acqua potabile per i palestinesi, non nominati nella petizione, non ce n’è nemmeno per gli israeliani. È su questa base, sull’uso della carestia contro due milioni di civili, che a Doha si discute e negozia quanto era già stato negoziato ma che a Netanyahu è sempre andato stretto.

Da lunedì delegazioni di Hamas, Israele e Stati uniti stanno conducendo incontri a porte chiuse in Qatar, con l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff atterrato martedì sera e intenzionato, scrivevano ieri media arabi e israeliani, a ottenere il suo piano «Ramadan-Pasqua ebraica», ovvero un’estensione di 60 giorni della prima fase della tregua in cambio del rilascio di dieci israeliani ancora vivi.

L’impasse non sembra però sbloccarsi: Hamas vuole passare alla seconda fase, Netanyahu vuole affossarla per poter riprendere l’offensiva contro Gaza quando di ostaggi nella Striscia non ce ne sarà più nessuno (unico modo per salvare il proprio governo dall’implosione: diversi ministri hanno già minacciato le dimissioni nel caso di un cessate il fuoco permanente).

A DOHA Witkoff ha ricevuto anche l’assenso dei paesi arabi impegnati nel piano egiziano di ricostruzione a discutere con gli Stati uniti i prossimi passi da compiere. Un tentativo di ricompattamento che Trump non disdegna: la reazione della Lega araba alle sue fantasie di pulizia etnica è sintomo di un malcontento crescente nel fronte alleato dei regimi sunniti, tanto che ieri il presidente ha detto che no, lui non ha mai paventato l’idea di espellere i palestinesi dalla Striscia.

Intanto a Gaza il bilancio delle vittime dell’offensiva israeliana continua a crescere, perché le bombe non cadono ma il fuoco non è mai davvero cessato: sono otto i palestinesi uccisi dai cecchini e i droni israeliani, a cui si aggiungono sette corpi recuperati dalle macerie. Sono oltre 48.500 i morti dal 7 ottobre, altri 12-14mila i dispersi sotto le macerie.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto



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