Il piano di Trump: disciplinare e fascistizzare l’Europa

Il piano di Trump: disciplinare e fascistizzare l’Europa

Loading

L’intento dell’amministrazione Trump di spostare 35.000 uomini dell’esercito statunitense di stanza nel Vecchio continente dalla Germania all’Ungheria è un segnale tra i più illuminanti

Sebbene tutto possa essere smentito, ribaltato o trasfigurato in pochi giorni, si possono isolare dei segnali per farsi un’idea di quanto stia accadendo in Europa nel tempo della più spregiudicata improvvisazione.

L’intento dell’amministrazione Trump di spostare 35.000 uomini dell’esercito statunitense di stanza nel Vecchio continente dalla Germania all’Ungheria è di questi segnali tra i più illuminanti. In una simile mossa, se effettivamente avrà seguito, non si riflette certo l’intento di abbandonare a sé stesso il campo europeo, o di lasciarlo esposto se non a improbabili invasioni comunque all’affermarsi di nuove egemonie, ma la volontà di disciplinarlo in senso autoritario. L’Ungheria di Victor Orban non è solo il paese europeo più favorevole a Mosca, ma è anche il governo che politicamente e ideologicamente più si avvicina alle convinzioni di Trump e del suo entourage su temi come il contrasto all’immigrazione, il tradizionalismo culturale, la restrizione dei diritti civili, lo strapotere dell’esecutivo e la persecuzione degli oppositori. Insomma un modello che Washington vedrebbe volentieri esteso all’intero continente.

La Germania, al contrario, nell’escludere ogni possibile partecipazione dell’ultradestra di Afd al governo del paese contraddice l’investimento americano su questo partito più volte esplicitato da Elon Musk e riscuote sempre meno la fiducia del governo statunitense. Per dirla con una formula diretta anche se assolutamente grossolana, il nuovo corso della Casa bianca non intende abbandonare l’Europa al suo destino ma “fascistizzarla”. Di certo non mancano interlocutori ben disposti a procedere in questo senso, affiancando l’amico americano.

Sul versante della governance di Bruxelles e delle cancellerie occidentali il fervore autonomista che proclama di voler liberare l’Europa dalle sue dipendenze è in realtà del tutto indifeso dal rischio di quella involuzione che Washington asseconda e dalla quale anche Mosca finirà col trarre senza fatica il suo vantaggio.

La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, con toni sempre più apocalittici e del tutto astratti, giustifica le proporzioni e l’urgenza del riarmo europeo con il fatto che la libertà, la democrazia e lo stato di diritto si trovino in grave e immediato pericolo. Omettendo volutamente quella contraddizione di fondo tra emergenza e democrazia, (contemplata fin dall’antico istituto romano della dittatura che sospendeva temporaneamente il potere delle assemblee), procede spedita al salto delle procedure parlamentari.

Il pericolo che incombe sul modello politico europeo non proverrebbe però secondo l’europeismo della “forza” dalle mosse ostili dell’imprescindibile alleato e amico d’oltreoceano o dal rafforzarsi dei nazionalismi con i quali in tempi non lontani von der Leyen civettava, ma da un presunto espansionismo russo verso l’intera Europa occidentale, le cui motivazioni restano totalmente oscure. La difesa, calibrata su quest’ultimo attore, favorisce in realtà l’attacco mosso dai primi due.

Gli sciagurati versi di Friedrich Hölderlin sul massimo pericolo che offre anche la più grande occasione di salvezza continuano purtroppo a ispirare la più vieta retorica dei governi. E la logica dell’emergenza a legittimare l’elusione delle procedure democratiche a favore di uno strapotere dell’esecutivo. Attraverso l’incremento massiccio della spesa militare europea, oltre a continuare a rimpinguare l’industria bellica statunitense e ridurre i costi dell’impegno Usa in questa parte del mondo, si avvia un processo di disciplinamento, anche economico, dei singoli governi europei e dell’Unione in generale. “Il tempo delle illusioni” che la presidente della Commissione vede finire, inizia invece proprio ora dalla più infondata delle convinzioni e cioè che il riarmo delle nazioni europee e la postura marziale che dovrebbe accompagnarlo servano a proteggere abitudini e interessi delle borghesie europee oltre a quel tanto di stato sociale e agibilità democratica sopravvissuti alla controrivoluzione neoliberale. Al contrario l’esplosione della spesa militare e il corrispondente taglio di tutto il resto omologheranno l’Unione europea agli Stati uniti di Trump e i rapporti con Mosca finiranno con l’assumere una forma analoga a quella adottata dal tycoon.

Tranne qualche eccezione puramente demagogica, l’estrema destra europea aderisce in pieno ai programmi di riarmo e di reintroduzione della leva obbligatoria, contro la quale converrà battersi fino in fondo, a partire dalla difesa di renitenti e disertori ucraini e russi. Afd, in sovrappiù, rivendica l’atomica tedesca.

Ma qui siamo a scenari da brivido. Ben oltre il già mostruoso programma di spesa militare su cui punta la Grosse Koalition convertita all’indebitamento. Tuttavia sul tema del riarmo le linee di demarcazione con la destra estrema si fanno evanescenti e il rischio che una politica di unità patriottica la includa in un modo o nell’altro nella definizione del corso politico europeo e ancor più in quello dei singoli stati dell’Unione è tutt’altro che remoto. Già, perché se la dimensione comune del debito e del comando resta un complicato oggetto del contendere, gli appetiti militari degli stati nazionali saranno presto soddisfatti.

* Fonte/autore: Marco Bascetta, il manifesto



Related Articles

Vangelo e Facebook, la svolta del Papa

Loading

A pranzo con i ragazzi elogia il Web. Passaggio di consegne tra Tettamanzi e Scola.  A pranzo con i ragazzi elogia il Web. Passaggio di consegne tra Tettamanzi e Scola. A Madrid 600mila in strada per la via Crucis. Altra contestazione degli indignados 

L’iniezione che serve a Pechino

Loading

Cina. Liquidità? No, socialismo. Per far ripartire il Paese bisognerebbe seguire il programma di Jeremy Corbyn, che auspica un «Q.E. for the people»

Scozia, e poi? L’effetto domino

Loading

Indipendenze. La grande depressione spinge le regioni ricche fuori dagli Stati. Ora tocca alla Catalogna, insieme a Fiandre e Veneto? La crisi economica illumina di una nuova luce il fenomeno europeo delle “secessioni” e rende cruciale la costruzione di un’altra Europa

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment