Migranti. Le accuse contro Al Kikli, il carceriere libico che ha fatto carriera

Migranti. Le accuse contro Al Kikli, il carceriere libico che ha fatto carriera

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Dalla gestione di Abu Salim alla gita a Roma come uomo di stato. Ecchr e Amnesty: «Estorsioni, pestaggi, violenze sessuali e omicidi»

Il caso di Abdel Al Kikli è diverso da quello di Osama Elmasry. Al Kikli infatti è una personalità molto più importante di Elmasry nello scacchiere libico. Proprio per questo la Corte penale internazionale fa più fatica a inserirlo nella sua lista di torturatori libici da arrestare (sono 86 i nomi coperti per ragioni investigative): Elmasry, in fondo, è «solo» un poliziotto, mentre Al Kikli rientra a pieno titolo nella classe dirigente del paese, è un pezzo grosso dell’apparato. L’uomo conosciuto anche con il soprannome di Gheniwa è il capo del Ssa (Stability Support Apparatus), «la milizia delle milizie» che nel 2021 il governo di Tripoli ha deciso di ufficializzare, rendendola di fatto un corpo dello stato.

QUANDO Gheniwa giovedì scorso è venuto a Roma per far visita al ministro Adel Juma, ricoverato alla clinica European Hospital di Roma da un mese dopo essere stato gambizzato in patria, era accompagnato da diversi personaggi di alto profilo del governo di Abdelhamid Dabaiba. Dalla foto diffusa via social si riconoscono Mohamed Ismail, ex miliziano divenuto influentissimo uomo d’affari; Ibrahim Ali Al-Dabaiba, cugino del premier; Ahmed Al-Sharkasi, dirigente della Arab Bank e Abdul Basit Al-Badri, ambasciatore di Tripoli in Giordania. Del resto Juma è un ministro importante ed è l’uomo che fa un po’ da cerniera tra i gruppi dell’est e quelli dell’ovest della Libia: un ruolo che dà grandi poteri e grandi responsabilità, ma che espone anche a grandi rischi. Il suo attentato, avvenuto il 12 febbraio, oltre ad essere avvolto nel mistero (il governo dice che è successo per strada mentre era in macchina, altre fonti parlano di un irruzione nel suo ufficio) sembrerebbe essere legato all’uscita di documenti riservati su alcuni accordi – peraltro mai andati in porto – che nel 2022 Dabaiba stava stringendo con il gruppo Wagner, l’inquietante banda di mercenari russi che opera anche in Africa. Un rebus complicato che si inserisce nel quadro, già di per sé opaco, dei rapporti di potere interni al governo della Libia. Il ruolo di Al Kikli, che in Italia era venuto anche l’estate scorsa per i play off del campionato di calcio libico, in questo contesto, è di alto rango all’interno degli apparati di sicurezza. In virtù di questo fatto sono pesanti anche le accuse che lo riguardano direttamente.

Dopo una sparatoria ad Abu Salim, i testimoni hanno riferito che le guardie avevano messo i feriti in isolamento, per nascondere le prove – Amnesty International

NELLA DENUNCIA presentata il 29 novembre del 2022 alla Cpi dalla ong tedesca Ecchr (Centro europeo per i diritti umani e costituzionali) Gheniwa compare più volte. Il principale riferimento riguarda il centro di detenzione di Abu Salim, «nominalmente sotto l’autorità della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (Dcim), ma in realtà influenzato da gruppi sotto l’autorità di Al Kikli». Per Ecchr, in questa prigione «sono stati documentati tortura, violenza sessuale, omicidi e sparatorie a seguito di tentativi di fuga. Questo centro di detenzione esemplifica anche il carattere mutevole di coloro che sono responsabili della detenzione dei migranti». Quindi, conclude l’ong, «il coinvolgimento dei precedenti e attuali capi del Dcim, insieme ai membri di milizie o gruppi armati che gestiscono i centri di detenzione, richiede ulteriori indagini da parte della procura della Cpi».

Nominalmente Abu Salim è sotto l’autorità della Direzione per la lotta all’immigrazione illegale, ma il realtà è controllato da Al Kikli – L’ong Ecchr

IN UN SUO RAPPORTO sulla situazione in Libia del 2021, Amnesty International cita Al Kikli come uno dei capi più importanti delle carceri libiche, luoghi che gli ex detenuti hanno descritto come teatro di «estorsioni e lavoro forzato, crudeli e inumane condizioni di detenzione che a volte potevano addirittura configurarsi da sole come torture, duri pestaggi con oggetti vari e violenze sessuali». In particolare viene riportato un episodio: «Durante dei tentativi di fuga dal centro Dcim di Abu Salim, guardie e uomini armati non identificati hanno ucciso almeno due persone e ferito molte altre sparando ai detenuti alla fine di febbraio 2021 e il 13 giugno dello stesso anno. Tre testimoni della prima sparatoria hanno riferito la presenza di miliziani collegati ad Al Kikli. I testimoni hanno riferito che le guardie avevano spostato numerosi detenuti feriti in una stanza di isolamento, apparentemente con lo scopo di nascondere il crimine e impedire loro di avere accesso ad assistenza medica o umanitaria».

PER LA FARNESINA tutto questo non costituisce un problema. Del resto Al Kikli ha un regolare visto per i paesi di Schengen concesso da Malta nel 2023 e valido fino al 25 novembre di quest’anno, quando incidentalmente Italia e Libia dovranno ridiscutere il memorandum del 2017. E comunque non è tra i destinatari dei mandati d’arresto che la Corte penale internazionale ha preparato per 86 miliziani libici. Forse perché Gheniwa non è un miliziano come tutti gli altri. È molto peggio.

* Fonte/autore: Mario Di Vito, il manifesto



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