Nei nuovi scenari mondiali il controcanto di Öcalan è alternativa di pace

Nei nuovi scenari mondiali il controcanto di Öcalan è alternativa di pace

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Il messaggio di Imrali risuona oggi in un contesto geopolitico completamente trasformato. Sullo sfondo sanguinoso dei conflitti in Ucraina e Gaza, un nuovo ordine mondiale si va delineando

Il messaggio di Imrali risuona oggi in un contesto geopolitico completamente trasformato. Sullo sfondo sanguinoso dei conflitti in Ucraina e Gaza, un nuovo ordine mondiale si va delineando: l’America di Trump, la Cina di Xi Jinping, la Russia di Putin si muovono come potenze soverchianti, mentre l’Europa rimane praticamente afona e terrorizzata.
In questo scenario, dove l’ordine liberale post-89 mostra tutte le sue crepe, la voce di Öcalan emerge nuovamente come controcanto dissonante nella sinfonia bellica globale.

È la terza volta che questo movimento riesce a proiettare una questione apparentemente locale al centro delle dinamiche mondiali. Dopo il tentativo di coinvolgere l’Europa nel 1999, e per ultima Roma, come in Italia ricordiamo bene, dopo la resistenza di Kobanê che trasformò una guerriglia marxista-leninista nel baluardo occidentale contro l’oscurantismo dello Stato Islamico, ora Öcalan parla di pace proprio mentre il mondo precipita verso un nuovo abisso bellico.

Negli ultimi giorni, la notizia dell’accordo siglato tra le Forze democratiche siriane (Sdf) – le formazioni del confederalismo democratico siriano curde e filocurde – e il governo di Damasco ha segnato un passaggio storico nella regione. Un mese dopo la dichiarazione di Öcalan, un segnale in un terremoto politico che non cessa di minare certezze e speranze, o le analisi più razionali.

La storia ha preso a correre vertiginosamente. Chi sarà più veloce, la resa al giudizio delle armi o l’ambizione di una diplomazia che sembra impossibile?

Eppure, le contraddizioni nella regione persistono e in Turchia l’arresto di Ekrem Imamoglu, il popolare sindaco di Istanbul e uno dei principali oppositori politici di Erdogan, pronto a candidarsi contro il sultano, getta un’ombra inquietante sul futuro democratico della Turchia e rivela la complessità di un gioco politico regionale dalle molteplici sfaccettature. Ancora una volta, il mondo non può distogliere l’attenzione dal Medio Oriente dove aperture democratiche e repressione autoritaria convivono a pochi chilometri di distanza. Ci dovremo abituare a questo anche noi?

Il paradigma che il movimento curdo suggerisce alla sinistra mondiale è chiaro: confederalismo democratico, comunalismo, neo-municipalismo – forme di contropotere democratico di fronte all’aggressività dei nazionalismi e del tecnocapitalismo. La proposta di Öcalan assume un valore che trascende la questione curda: la Palestina è massacrata da un’occupazione pluridecennale, dove le istanze politiche socialiste sono state distrutte dalla corruzione o fagocitate dalla promessa di un antimperialismo confessionale di matrice islamica. In questo stesso Medio Oriente, però, Öcalan afferma che esiste una storia alternativa, più antica di millenni rispetto all’Islam – una storia di convivenza democratica che rappresenta un’alternativa profonda alle arcaiche matrici stesse dello stato-nazione. Forse proprio da questo Medio Oriente, riletto attraverso l’utopia socialista e le sue trasformazioni contemporanee, arriva una risposta che l’Occidente non riesce più a formulare.

A Gaza sono ricominciati i raid, la tregua è finita: mentre l’amministrazione Trump riprende le redini della politica Usa in Medio Oriente, i bombardamenti israeliani sono il marchio della sopraffazione. Il contrasto tra la proposta di pace curda e la logica di sterminio che domina nella regione appare ancora più stridente. Il modello confederale proposto da Öcalan si erge quindi non solo come alternativa teorica, ma come possibilità concreta di convivenza, sempre più difficile, sempre più drammatica, e proprio per questo tragicamente urgente. Solo figure come papa Francesco e Abdullah Öcalan sembrano radicalmente rivoluzionarie nel rifiutare la logica della deterrenza armata. Figure tragiche e rivoluzionarie.

La proposta che giunge da Imrali non è semplicemente un’offerta di pace dopo decenni di guerra sanguinosa. È una scommessa politica che tenta di ribaltare i termini del conflitto: non più lotta armata per la conquista dello stato, ma superamento dello stato-nazione stesso attraverso forme confederali di democrazia diretta: da dentro come sfida per la Turchia, da fuori come proposta per la nuova Siria. Confederalismo e stabilità mentre infuriano i conflitti armati. Aprire una faglia nel gorgo. Le fiamme del Newroz bruceranno quest’anno tra le fiamme del mondo.

Un nuovo anno, terribile e carico di interrogativi.

Perché il messaggio di questo vecchio leone continua a interrogare il mondo? Forse perché la voce che giunge da Imrali ci ricorda che fare politica significa ancora «predire il futuro» – non nel senso di una profezia passiva, ma come atto di creazione di possibilità inedite. Nell’ostinazione di questa voce che emerge dall’isolamento più totale, dobbiamo credere ci sia una verità: la politica non è gestione dell’esistente, ma apertura di spazi di libertà laddove sembravano impossibili. Mentre il mondo sembra già nella quarta guerra mondiale, la lezione di Öcalan è che anche nel buio più profondo si può e si deve continuare a immaginare e costruire la pace. Non come resa o compromesso, ma come radicale reinvenzione dei rapporti di forza. In un’epoca in cui il futuro sembra essere stato cancellato, questa ostinata apertura di possibilità rappresenta l’atto politico più sovversivo: ricordarci che che c’è ancora, e ancora, una battaglia per cui lottare.

* Fonte/autore: Amedeo Ciaccheri, il manifesto



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