Polizia violenta: per il giudice di Torino ha licenza di menare

Polizia violenta: per il giudice di Torino ha licenza di menare

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L’opzione per l’impunità a prescindere degli operatori di polizia per gli atti compiuti in servizio di ordine pubblico è ricorrente nel nostro sistema. Era già chiara nel codice di procedura penale fascista

La contrapposizione si protrae per un paio d’ore, con grida, proteste e (saltuario) lancio di oggetti. Il tutto senza incidenti sino a quando gli esponenti neofascisti, non essendo riusciti nel loro intento, lasciano il campo.

A quel punto si verificano tre cariche della polizia, nella prima delle quali vengono colpite con manganellate anche due docenti di Giurisprudenza che, dopo essersi qualificate, si erano interposte tra gli agenti e gli studenti per evitare incidenti e che riportano lesioni al capo e alle braccia. A seguito della querela proposta dalle due docenti, Alice Cauduro e Alessandra Algostino, quest’ultima firma ben nota a lettrici e lettori del manifesto, si apre un procedimento a carico di ignoti che si conclude ora con un decreto di archiviazione.

Il fatto, seppur minore rispetto ad altri proposti quotidianamente dalle cronache, merita una segnalazione: perché emblematico della prassi «muscolare» che caratterizza la gestione dell’ordine pubblico nelle nostre piazze e perché indicativo della cultura autoritaria, giustificazionista e precostituzionale che anima settori consistenti della magistratura. Pacificamente, infatti, le cariche della polizia sono intervenute quando era venuta meno – ammesso che fosse esistita in precedenza – ogni esigenza di tutela dell’ordine pubblico e, per usare le parole del gip, gli «atteggiamenti aggressivi e provocatori» dei contestatori erano «limitati al piano verbale» e «a slogan ostili verso la polizia» e l’unico contatto fisico era stata «l’improvvisa spinta di un contestatore allo scudo di un agente».

In tale situazione il giudice non si spinge a sostenere – come aveva fatto il pubblico ministero (dopo aver delegato ogni accertamento alle forze di polizia cui appartengono gli agenti e i funzionari il cui comportamento era oggetto di indagine) – che le azioni lesive degli agenti non sono punibili perché integranti un’ipotesi di uso legittimo delle armi, ma dispone ugualmente l’archiviazione perché «la collocazione “geografica” delle due docenti, che si trovavano sulla traiettoria della carica di alleggerimento» (legittimata, «anche a prescindere dall’esistenza di un formale ordine dei superiori», dalla mancanza di «una distanza di sicurezza» tra manifestanti e agenti»), ha reso «inevitabile il contatto». Dunque, decodificando, se, nel corso di una manifestazione, i dimostranti gridano slogan contro le forze di polizia e si avvicinano ad esse in maniera significativa, è legittimo che gli agenti effettuino (anche di propria iniziativa, senza disposizioni dei responsabili dell’ordine pubblico) delle cariche e, se qualcuno si trova, a qualunque titolo, in mezzo, peggio per lui… Incredibile, ma vero.

L’opzione per l’impunità a prescindere degli operatori di polizia per gli atti compiuti in servizio di ordine pubblico è ricorrente nel nostro sistema. Era chiara nel codice di procedura penale fascista, secondo cui «non si procede senza autorizzazione del Ministro della giustizia contro gli ufficiali od agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o contro i militari in servizio di pubblica sicurezza, per fatti compiuti in servizio e relativi all’uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica», e confermata dalla legge Reale del 1975, che prevedeva la sottrazione delle indagini, in tali ipotesi, al procuratore della Repubblica con illimitata possibilità di avocazione del procuratore generale. Con il codice processuale del 1989 il privilegio è stato abolito ma c’è chi (i parlamentari leghisti Iezzi e Ravetto), con due emendamenti al disegno di legge sicurezza in discussione al senato, ha proposto di ripristinarlo in versione addirittura peggiorata. A leggere il decreto di archiviazione del gip di Torino vien da dire che non è necessario: la magistratura ci pensa da sola, anche senza indicazioni del legislatore.

* Fonte/autore: Livio Pepino, il manifesto



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