«Abrogare il dl Sicurezza»: lo chiedono a Meloni le Nazioni Unite

La richiesta degli Special Rapporteur: «Inutile» il reato di rivolta in carcere. La Uilpa: da sabato già due proteste, non è un deterrente
L’avviso era già arrivato a dicembre scorso, inascoltato. Da allora il governo di «Sua Eccellenza» Giorgia Meloni ha impresso, anzi, un’accelerazione talmente scomposta da «allarmare» definitivamente l’Onu. Così cinque Special Rapporteur delle Nazioni unite, che avevano già messo in guardia Roma riguardo le criticità del ddl Sicurezza, hanno ora «invitato il governo italiano ad abrogare il decreto adottato bruscamente il 4 aprile per promulgare un disegno di legge sulla sicurezza, in discussione e criticato al Senato, che include disposizioni non in linea con il diritto internazionale in materia di diritti umani». Decreto che invece tira dritto sulla strada della conversione in legge con l’inizio dell’iter oggi nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera dove dopo Pasqua si terrà un breve ciclo di audizioni .
«SIAMO ALLARMATI da come il governo abbia trasformato il ddl in un decreto d’urgenza, rapidamente approvato dal Consiglio dei Ministri, aggirando il Parlamento e il vaglio pubblico», scrivono gli esperti dell’Onu. Nel merito erano già entrati da Ginevra il 19 dicembre scorso con il lungo documento che segnalava le norme giudicate «critiche» del ddl Sicurezza, articolo per articolo. Ora l’Onu ribadisce che il testo contrasta con gli obblighi internazionali «in materia di diritti umani, tra cui la tutela del diritto alla libertà di movimento, alla privacy, a un giusto processo e alla libertà, nonché la protezione contro la detenzione arbitraria». Visto che, con il decreto in vigore da sabato scorso, hanno già forza di legge per esempio «definizioni vaghe e ampie disposizioni relative al terrorismo che potrebbero portare a un’applicazione arbitraria». Oppure norme che «mettono a rischio la libertà di espressione» di «gruppi specifici, tra cui minoranze razziali o etniche», o disposizioni che «sembrano limitare la libertà di riunirsi pacificamente per proteste e manifestazioni» con «formulazioni vaghe che potrebbero comportare procedimenti giudiziari arbitrari».
TRA LE NORME censurate dall’Onu c’è anche il reato di rivolta in carcere e nei Cpr (art. 26, 27), commesso anche con la resistenza passiva e punibile con la reclusione da uno a 8 anni. Una «restrizione inutile e sproporzionata del diritto di protesta pacifica e di espressione» dei detenuti che potrebbe vanificare, scrive l’Onu, «il raggiungimento degli obiettivi legittimi di garantire la sicurezza e i processi di reinserimento». Talmente inutile, per altro, che non ha funzionato neppure da «deterrente» ieri a Piacenza dove alcuni detenuti hanno provocato disordini rientrati in poche ore e sedati dalla penitenziaria in anti sommossa del nuovo Gio che ha trasferito i facinorosi.
Domenica scorsa era accaduto a Cassino e paradossalmente, denuncia il sindacalista Uilpa Gennarino De Fazio, «non appena entrato in vigore il reato di rivolta sono aumentate le tensioni nelle carceri e in 4 giorni sono state almeno due le gravi situazioni di disordine che la Polizia penitenziaria, sempre più stremata nelle forze e mortificata nel morale, ha dovuto fronteggiare con non poche difficoltà». A dire il vero, però, succede anche il contrario: quelle che una volta erano semplici proteste gestite come tali, oggi sono costantemente – e quasi giornalmente – denunciate da alcune sigle sindacali come «rivolte».
* Fonte/autore: Eleonora Martini, il manifesto
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