Addio a Francesco, il papa rivoluzionario che ha scosso la Chiesa

La scelta del nome ispirato al “santo dei poveri” di Assisi è stato un inedito nella bimillenaria storia della Chiesa
L’annuncio è arrivato ieri poco prima delle 10 da parte del cardinale camerlengo Farrell: «Alle ore 7.35 di questa mattina il vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio e amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati». In serata la comunicazione ufficiale delle cause della morte: ictus celebrale e collasso cardiocircolatorio irreversibile.
UNA NOTIZIA INATTESA, nonostante tutto. Bergoglio negli ultimi mesi è stato molto male – 38 giorni di ricovero al policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale -, ha avuto due momenti di grave crisi che avrebbero potuto essere fatali. Poi si è ripreso, il 23 marzo è rientrato in Vaticano, in queste quattro settimane ha incontrato persone, giovedì scorso è uscito per qualche ora per un breve saluto ai detenuti di Regina Coeli. A Pasqua, poi, ha voluto impartire personalmente la benedizione Urbi et orbi dalla loggia di San Pietro e fare un giro per la piazza a bordo della papamobile. Gesti che, osservati oggi, assumono il significato di un ultimo saluto al popolo cattolico prima della morte, avvenuta questa mattina a casa Santa Marta, a 88 anni (compiuti il 17 dicembre), nel tredicesimo anno di pontificato iniziato da poco più di un mese.
Nato a Buenos Aires nel 1936, poco più che ventenne entra nella Compagnia di Gesù e viene ordinato prete nel 1969. Si ispira alla teologia del popolo, che presenta forti contenuti sociali ma è distante dalla teologia della liberazione. Nel 1973 viene nominato superiore dei gesuiti argentini (fino al 1979), in una fase storica tragica in cui i militari prendono il potere con un golpe. Negli anni della dittatura, Bergoglio governa la Compagnia di Gesù evitando collusioni con il regime, ma anche vigilando su possibili slanci rivoluzionari da parte dell’ordine, cosa che negli anni successivi gli procurerà accuse – poi rientrate – di non aver protetto alcuni suoi preti finiti nelle mani dei militari. Nel 1998 viene nominato da papa Wojtyla arcivescovo di Buenos Aires e si trasforma in una sorta di difensore delle classi popolari argentine colpite dalla crisi economica, in nome dell’ideale della «nazione cattolica».
IL 13 MARZO 2013 viene eletto papa, a sorpresa – i pronostici indicavano il cardinale Scola, tanto che la Cei invia per errore un messaggio di felicitazioni per l’elezione dell’arcivescovo di Milano -, dopo le inattese dimissioni di Ratzinger, diventando il primo pontefice gesuita e argentino, preso «quasi alla fine del mondo», come dice egli stesso salutando i fedeli in piazza San Pietro.
Francesco è stato protagonista di un pontificato che ha smosso le mura della Chiesa cattolica, riorientando la sua missione in una direzione pastorale e sociale rispetto a quella maggiormente dottrinale dei suoi immediati predecessori. La scelta del nome Francesco ispirato al “santo dei poveri” di Assisi – un inedito nella bimillenaria storia della Chiesa – e di Lampedusa come suo primo viaggio apostolico fuori dalle mura vaticane (luglio 2013) per denunciare la «globalizzazione dell’indifferenza» della fortezza Europa che lascia morire in mare i migranti (ribadita poi in due viaggi all’isola di Lesbo nel 2016 e nel 2021) indicano immediatamente il profilo che intende dare al suo ministero. Confermato poi, nel novembre 2013 nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, testo programmatico del pontificato in cui denuncia «questa economia che uccide». E nel giugno 2015, con la prima enciclica, Laudato si’, dedicata alla crisi eco-sociale che distrugge il pianeta e genera povertà ed esclusione. Temi ripresi nel 2020 nella nuova enciclica, Fratelli tutti.
Più complicato e meno lineare il percorso della riforma della Chiesa. Con il Sinodo dei vescovi sulla famiglia del 2014-2015, Bergoglio introduce un metodo partecipativo (con un questionario inviato alle diocesi e ai fedeli di tutto il mondo per orientare i lavori dell’Assemblea generale dei vescovi), ma alla fine i risultati sono inferiori alle attese – sovradimensionate dalla retorica sul papa rivoluzionario – e si limitano a un’apertura non generalizzata all’accesso ai sacramenti per le persone divorziate e risposate. E la riforma della Curia romana, licenziata nel marzo 2022 e scritta con l’aiuto di un consiglio ristretto di cardinali, produce poco più di una sua mera riorganizzazione.
Francesco avvia processi, appunto un metodo sinodale che rende più libera la discussione nella Chiesa, sostenuta simbolicamente anche dalla “riabilitazione” di teologi progressisti e preti di frontiera che i suoi predecessori avevano condannato o emarginato. Poi però richiude le porte che egli stesso ha contribuito ad aprire.
ESEMPLARE IL SINODO dei vescovi dell’Amazzonia (ottobre 2019), quando il pontefice nell’esortazione postsinodale (febbraio 2020) respinge la proposta dei vescovi di ordinare presbiteri anche uomini sposati. Le opposizioni conservatrici alzano la voce contro l’allentamento della disciplina del celibato obbligatorio, e Francesco ferma tutto, per evitare fratture nella Chiesa. È il momento in cui la inedita coabitazione dei “due papi” – l’«emerito» Benedetto XVI e il regnante Francesco -, finora filata abbastanza liscia, mostra frizioni: Raztinger firma il libro del cardinale ultraconservatore Robert Sarah, che ribadisce il principio non negoziabile del celibato ecclesiastico, e poi la ritira.
SU PIANO PASTORALE e sociale invece il cammino non si interrompe. Gli ultimi anni sono la testimonianza di un impegno deciso per i migranti, per un’economia equa (vedi anche i tre incontri mondiali in Vaticano con i movimenti popolari nel 2014-2016), per il disarmo e soprattutto contro la guerra. La sua è una voce pressoché unica nel panorama mondiale, che crea anche tensioni con gli attori impegnati nei conflitti: la Nato (criticata per il suo «abbaiare alle porte della Russia»), Zelensky (che rimprovera il papa di sostenerlo debolmente), Putin (accusato di condurre un’«invasione sacrilega») e Israele («a detta di alcuni esperti – afferma il papa -, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio»). Rilanciata l’altro ieri, a Pasqua, nel messaggio urbi et orbi, letto in piazza San Pietro dal suo cerimoniere mentre Bergoglio gli sedeva accanto: «Davanti alla crudeltà di conflitti che coinvolgono civili inermi, attaccano scuole e ospedali e operatori umanitari, non possiamo permetterci di dimenticare che non vengono colpiti bersagli, ma persone». Le tre «azioni di giustizia» che Francesco chiede di realizzare per il Giubileo costituiscono una sorta di testamento: cancellazione del debito estero ai Paesi impoveriti, eliminazione della pena di morte, creazione di un fondo mondiale contro la fame usando il denaro speso in armi.
Un papa che ha rimescolato le carte, quindi. Si vedrà ora chi sarà il successore di Francesco e soprattutto come gestirà la partita: se preferirà rimettere in ordine il mazzo oppure vorrà portare avanti quei processi avviati da Francesco e ora inevitabilmente interrotti con la sua morte.
* Fonte/autore: Luca Kocci, il manifesto
Related Articles
Il nuovo piano per l’accoglienza
Una distribuzione equa con il trasferimento di 70 migranti per provincia in modo da non gravare solo su Regioni e Comuni
Psoe in crisi d’identità. E Sánchez punta i piedi
Dalla Francia alla Germania, passando per Madrid, la socialdemocrazia europea è in coma
“Italia affidabile, nulla da chiedere alla Merkel”