Gaza. Israele usa fame e sete come armi e gli aiuti come via per l’occupazione

Per un mese non una sola goccia di aiuti umanitari è entrata a Gaza. Dal 2 marzo – quando sarebbe dovuta iniziare la seconda fase del cessate il fuoco, ma Israele si è poi rimangiato l’impegno preso – Tel Aviv ha bloccato l’ingresso di tutti i generi alimentari nella Striscia, insieme a carburante, attrezzature mediche e altre forniture essenziali. L’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa) ha avvertito che le scorte di farina di Gaza probabilmente si esauriranno completamente prima della fine di questa settimana.
Sebbene l’attuale politica sia più estrema di qualsiasi altra vista dal 7 ottobre, Israele ha comunque imposto restrizioni all’ingresso di aiuti a Gaza durante tutto il suo assalto. Già nel dicembre 2023 Human Rights Watch aveva dichiarato che Israele stava usando la fame come arma di guerra. Quasi un anno dopo la Corte penale internazionale ha emesso mandati d’arresto per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’allora ministro della difesa Yoav Gallant, in parte con l’accusa di aver «intenzionalmente e consapevolmente privato la popolazione civile di Gaza di oggetti indispensabili alla sua sopravvivenza, tra cui il cibo».
La redazione consiglia:
L’ONDATA di aiuti umanitari che Israele ha permesso di entrare a Gaza durante il recente cessate il fuoco di due mesi è servita solo a sottolineare la crudele intenzionalità della politica della fame. Israele ha sostenuto per mesi – anche in una causa durata un anno presso l’Alta Corte di Giustizia, in risposta a una petizione di cinque organizzazioni israeliane per i diritti umani – che qualsiasi ostacolo all’ingresso degli aiuti non era colpa sua, attribuendolo invece alle inefficienze delle agenzie umanitarie o ai saccheggi delle bande. I dati, tuttavia, mostrano chiaramente il contrario.
Sebbene qualità e quantità dei dati disponibili sul volume e la composizione degli aiuti che entrano a Gaza siano diminuite in modo significativo dall’inizio del cessate il fuoco a metà gennaio (le due fonti primarie di informazioni, il Coordinatore delle Attività governative nei Territori dell’esercito israeliano, o Cogat, e l’Ufficio Onu per il Coordinamento degli Affari umanitari, o Ocha, hanno smesso di fornire aggiornamenti dettagliati sul cruscotto), possiamo ancora vedere che il numero di camion di aiuti autorizzati a entrare a Gaza è aumentato drasticamente, contribuendo ad alleviare in qualche modo la crisi umanitaria nella Striscia.
Mentre, secondo il Cogat, una media giornaliera di 126 camion di aiuti è entrata a Gaza nei sei mesi precedenti l’accordo – nonostante un ultimatum dell’amministrazione Biden a ottobre, che chiedeva l’ingresso di 350 camion al giorno – il numero di camion nei primi tre giorni della tregua sono stati rispettivamente 634, 916 e 897. Nelle sei settimane tra l’inizio della tregua, il 19 gennaio, e l’imposizione del blocco totale da parte di Israele, il 2 marzo, sono entrati più camion (25.200) che nei sei mesi precedenti (21.368).
Durante il cessate il fuoco, Israele ha anche eliminato alcune delle barriere precedentemente imposte all’ingresso degli aiuti. Ad esempio, le operazioni di aiuto dentro Gaza non hanno più richiesto il coordinamento con l’esercito israeliano ed è stato possibile consegnare quantità molto maggiori di rifornimenti nella parte nord, fino ad allora di difficile accesso. Sono state distribuite oltre 100mila tende e le prove visive hanno mostrato che sono state portate attrezzature pesanti, come i bulldozer, utilizzati per liberare le strade e rimuovere alcune macerie.
Inoltre, il cessate il fuoco ha permesso ad Hamas di riaffermare le sue capacità di governo a Gaza, il che ha portato a una drastica riduzione dei saccheggi dei camion degli aiuti: il fenomeno è diventato quasi inesistente. La maggiore disponibilità di aiuti ha anche ridotto la domanda di beni sul mercato nero, contribuendo ulteriormente al calo dei saccheggi.
QUESTE MISURE di soccorso umanitario, tuttavia, non sono state assolute. Ad esempio, circa il 10% dell’oltre mezzo milione di residenti tornati nelle loro case distrutte nel nord di Gaza hanno finito per trasferirsi nuovamente a sud, in parte perché non riuscivano a trovare mezzi di sopravvivenza sufficienti nel nord devastato. Inoltre, alcuni degli oggetti che Israele era tenuto a far entrare a Gaza secondo i termini del cessate il fuoco, come le case mobili, sembrano essere stati quasi del tutto impediti.
Allo stesso tempo, Israele ha silenziosamente ampliato l’uso della burocrazia come strumento di controllo delle organizzazioni internazionali, inasprendo le restrizioni all’ingresso degli operatori umanitari a Gaza. Circa la metà dei medici che hanno ricevuto l’approvazione preliminare per entrare nella Striscia attraverso l’Organizzazione mondiale della Sanità (che richiede che tutti i dettagli siano presentati con un mese di anticipo), hanno poi scoperto che Israele negava loro l’ingresso. Quasi tutti questi medici erano già entrati nell’enclave dall’inizio della guerra, con la precedente approvazione del Cogat.
La redazione consiglia:
Lettera X al valico proibito. La vita non può entrare a Gaza
Una diminuzione simile dei permessi di ingresso è stata osservata tra gli operatori umanitari. Arwa Damon, ex giornalista della Cnn che ha fondato l’International Network for Aid, Relief and Assistance (Inara), organizzazione che fornisce assistenza medica e psicologica ai bambini di Gaza, è entrata nella Striscia quattro volte nel 2024. Nel 2025, tuttavia, tutte e cinque le sue richieste di ingresso sono state respinte.
Questo cambiamento di politica, cominciato all’inizio di febbraio, sembra derivare dalla decisione di Israele di imporre nuovi regolamenti sull’approvazione e la registrazione delle organizzazioni internazionali. Secondo questi criteri, Israele può negare l’ingresso a qualsiasi organizzazione che promuova il Bds, sostenga tribunali internazionali contro funzionari o soldati israeliani o «neghi l’esistenza dello Stato di Israele come Stato ebraico e democratico».
TUTTAVIA, a inizio marzo c’è stato un cambiamento drastico. La decisione di Israele di bloccare tutti gli aiuti umanitari a Gaza come mezzo di pressione su Hamas per rilasciare gli ostaggi rimasti senza alcun impegno da parte di Israele a porre fine alla guerra – azione che equivale al crimine di guerra della punizione collettiva – è stata ampiamente condannata dagli attori internazionali.
Circa una settimana dopo che Israele aveva sigillato i valichi di frontiera, il ministro dell’energia e delle infrastrutture Eli Cohen ha inoltre ordinato l’interruzione dell’elettricità che Israele vende a Gaza, paralizzando il funzionamento degli impianti di desalinizzazione. Alti funzionari israeliani hanno persino indicato l’intenzione di chiudere le condutture dell’acqua. Non sorprende che i prezzi dei generi alimentari siano saliti alle stelle dopo la chiusura dei valichi, con i maggiori aumenti registrati per i prodotti freschi come frutta e verdura.
L’impatto di questo blocco intensificato è ancora più devastante di quello imposto da Israele all’inizio della guerra, dopo l’ordine di Gallant «niente elettricità, niente cibo, niente carburante»; le scorte di Gaza erano molto più alte allora di quanto non lo siano adesso e Israele alla fine ha ceduto alle pressioni internazionali e ha permesso l’ingresso di alcuni aiuti, anche se in quantità molto inferiori a quelle necessarie.
Tuttavia, l’ultima risposta dello Stato all’Alta Corte – che non ha l’autorità di decidere su queste questioni – sottolinea la ritrovata fiducia nella sua posizione, mentre la debole reazione internazionale evidenzia il basso costo politico dell’impiego di fame e privazioni come forma di punizione collettiva e arma di guerra.
Israele ha seguito il divieto di aiuti con una ripresa dell’assalto a Gaza nelle prime ore del 18 marzo, uccidendo più di 400 palestinesi in attacchi a sorpresa nelle prime ore, tra cui 178 bambini. Tra gli obiettivi di questi attacchi aerei c’erano i vertici civili di Hamas, in particolare gli alti funzionari responsabili del governo della Striscia. Paralizzando la capacità di Hamas di gestire la vita civile a Gaza, Israele intende consentire a bande armate – simili o identiche a quelle che hanno saccheggiato gli aiuti – di prendere il suo posto. Nel frattempo Israele ha iniziato a gettare le basi per spostare il controllo della gestione degli aiuti umanitari dalle organizzazioni internazionali alle stesse forze armate israeliane.
A INIZIO MARZO il Cogat ha pubblicato un rapporto che accusa l’Onu di diffondere dati parziali, incompleti o errati. Poco dopo il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, Eyal Zamir, ha invertito la politica del suo predecessore e ha rimosso l’obiezione dell’esercito a essere il potere responsabile della distribuzione degli aiuti umanitari a Gaza. Governo israeliano e Cogat hanno contemporaneamente lanciato una campagna coordinata – a cui hanno fatto eco i sostenitori del primo ministro – sostenendo che Hamas ruba gli aiuti dalle organizzazioni internazionali e li usa per danneggiare Israele, affermando al contempo che Israele non fornisce a Gaza abbastanza cibo.
Trasferire la gestione degli aiuti umanitari dalle organizzazioni internazionali servirebbe a diversi obiettivi strategici di Israele, allineati alla sua più ampia politica di guerra. Il controllo diretto sugli aiuti consentirebbe a Israele di regolare l’assistenza come meglio crede, nell’ambito di un approccio «bastone e carota», una politica con chiari precedenti nei decenni precedenti l’attuale offensiva. Inoltre l’allontanamento delle organizzazioni umanitarie da Gaza ridurrebbe significativamente il flusso di informazioni critiche sulle azioni di Israele nella Striscia.
La redazione consiglia:
Gaza secondo Israele: tutta la popolazione chiusa ad al-Mawasi
Ci sono stati alcuni segnali che indicano che questa politica sta avendo l’effetto desiderato. Il 24 marzo le Nazioni unite hanno deciso di «ridurre la propria impronta» nell’enclave assediata, in parte in risposta a un attacco al personale internazionale dell’Onu avvenuto la settimana precedente. Si prevedeva che circa il 30% del personale internazionale Onu avrebbe lasciato l’enclave entro una settimana e che altri avrebbero probabilmente seguito l’esempio. Lo stesso giorno un attacco a un edificio della Croce Rossa ha ulteriormente dimostrato che Gaza non è sicura per gli operatori umanitari internazionali.
Se l’esercito si assumerà la responsabilità di distribuire gli aiuti, questo aumenterà gli attriti con la popolazione locale e porterà quasi certamente a ulteriori danni ai civili e a un aumento delle vittime tra i soldati israeliani. Nel frattempo, Israele sarà l’unica fonte ufficiale di informazioni provenienti da Gaza, consentendogli di oscurare ulteriormente la realtà sul campo agli occhi del mondo.
* Pubblichiamo l’inchiesta della rivista israeliano-palestinese 972mag
Fonte/autore: Lee Mordechai, Liat Kozma, il manifesto
Photo Unicorn Riot
Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Stati Uniti ( CC BY-NC-SA 3.0 USLicenza) 2024
Related Articles
Migranti. Via libera a Open Arms per sbarcare a Pozzallo 363 naufraghi
Al largo di Pozzallo ieri pomeriggio in 363, stretti sul ponte dell’Open Arms, attendevano un porto sicuro: tutti naufraghi salvati dai volontari catalani in cinque operazioni in appena 72 ore
Con Music For Peace cento tonnellate di aiuti a Gaza
Palestina. La missione italiana nella Striscia devastata dai raid israeliani
Corte Penale Internazionale, fine del doppio standard a favore di Israele
La Cpi che aveva spiccato mandati per Assad e Putin include oggi un leader occidentale. Diventa difficile difendere ogni ok ad esportare armi o l’omertà sulla collaborazione scientifica ’dual use’