Il modello predatorio di Trump anche in Congo: minerali in cambio di miliziani

Gli Usa manderanno mercenari e la Rdc cederà le risorse minerarie, già sfruttate da Cina e Ruanda. Tra le compagnie statunitensi papabili c’è quella di Erik Prince, fondatore di Blackwater che fu protagonista delle uccisioni arbitrarie in Iraq
Tutti gli uomini del presidente Trump sbarcano anche nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), al lavoro su un accordo per ricevere minerali in cambio di protezione militare: la Rdc è infatti in guerra dal 2021 contro il gruppo M23, supportato dal Ruanda (dopo un primo conflitto nel 2012-13). Giovedì sera Tammy Bruce, portavoce del Dipartimento di Stato Usa, ha dichiarato che l’accordo con la Rdc coinvolgerà anche compagnie di sicurezza private. Per ora la più papabile sembra essere la società di Erik Prince, fedelissimo di Trump, già firmatario un contratto con il governo congolese per garantire sicurezza e tassazioni sull’industria mineraria, la cui implementazione andrà discussa in luce del coinvolgimento del governo statunitense.
IL NOME DI PRINCE è ben noto nell’ambiente dei «contractors» militari privati: fondatore dell’azienda Blackwater fu costretto a rinominarla e poi venderla nel 2010 quando quattro suoi impiegati, precedentemente stanziati in Iraq, furono condannati per uccisioni arbitrarie di cittadini iracheni durante il «massacro di piazza Nisour» a Baghdad. Queste pratiche non furono però ritenute così gravi dal tycoon, che durante il suo primo mandato concesse la grazia agli ex dipendenti di Prince.
IL CATALIZZATORE dell’accordo è stata una lettera del presidente congolese Felix Tshisekedi, che l’8 febbraio aveva scritto Donald Trump chiedendo un intervento militare Usa nel paese, e promettendo risorse in cambio. Il tycoon non si è fatto pregare troppo e il 2 aprile ha inviato a Kinshasa il suo consuocero Massad Boulos, consigliere senior per l’Africa degli Stati Uniti, per parlare con Tshisekedi. Dopo l’incontro Boulos – che ha in ballo numerosi interessi nel continente dove distribuisce veicoli ed equipaggiamento tramite una sua compagnia con sede in Nigeria – ha dichiarato di aver raggiunto una quadra con il presidente. La Rdc è infatti ricca di minerali tra cui rame, cobalto e litio (fondamentali per le batterie dei veicoli elettrici, l’industria high-tech e militare), ma i ribelli M23 da dicembre scorso avanzano guadagnando sempre più terreno e mettendone a rischio l’estrazione.
La redazione consiglia:
IL FORMAT in cambio di terre rare, già sperimentato da Donald Trump sul campo ucraino, sembra quindi esportabile anche in Africa, ma potrebbe incontrare alcuni ostacoli. Ad oggi la Cina controlla ed è proprietaria di tre dei maggiori giacimenti del paese, di cui detiene addirittura il 100% come per la miniera di Kinsenda, o l’80% come nel caso della miniera Tenke Fungurume (una delle più grandi al mondo per cobalto e rame). Il progetto africano di Xi Jinping va avanti da un decennio, per la Rdc è arrivato addirittura a rompere il suo solito non allineamento diplomatico criticando il coinvolgimento del Ruanda nel conflitto.
SECONDO I DATI OEC (osservatorio per la complessità economica) nel 2023 le esportazioni dalla Repubblica democratica del Congo verso la Cina contavano 14,3 miliardi di dollari, di cui più del 90% in cobalto e rame raffinati o grezzi. Negli ultimi mesi il presidente cinese aveva formulato al summit per la cooperazione Cina-Africa un progetto infrastrutturale di 50 miliardi di dollari, da distribuire su tutto il continente, a suggellare l’intenzione di Pechino di rimanere il principale partner commerciale africano dopo aver surclassato gli Usa nel 2009. Sembra dunque difficile immaginare che Xi Jinping ceda di buon viso l’egemonia estrattiva nella Rdc a Donald Trump, soprattutto con la guerra commerciale dei dazi. Tuttavia, la zona d’influenza cinese si concentra più nel sud del paese, nelle province di Lualaba e Alto-Katanga, mentre gli Stati Uniti si inserirebbero nel nord-est dove infuria la guerra. Per i congolesi si tratterebbe, però, di un’ulteriore ingente cessione delle proprie risorse naturali a paesi terzi.
SARANNO POI da tenere sott’occhio i movimenti del Ruanda, che nega l’evidente coinvolgimento nel conflitto: da una parte c’è la comune etnia Tutsi che unisce il paese agli M23; dall’altra la regione interessata dal conflitto, il Kivu Nord, è ricca di minerali e oro (da lì proviene l’80% del coltan mondiale). Secondo alcune inchieste indipendenti, tra cui una realizzata da Global Witness, il 90% dei minerali esportati dal Ruanda negli ultimi anni – anche verso l’Unione Europea – non sarebbe estratto nel paese, ma verrebbe dalla Repubblica Democratica del Congo.
La redazione consiglia:
Il parlamento europeo condanna il Ruanda: «Ma ora servono i fatti»
AL NETTO di ciò l’ombra statunitense comincia a farsi sentire, qualche settimana fa sono infatti cominciati i primi colloqui diplomatici tra il governo della Rdc e gli M23 a Doha, che sarebbero dovuti continuare il 9 aprile ma sono stati rimandati. Sotto pressioni di Washington gli M23 si sono ritrati dalla città mineraria di Walikale, in cui è ripartito il processo estrattivo. Questi incontri arrivano dopo numerosi tentativi, di cui l’ultimo che doveva tenersi in Angola a fine marzo è stato sabotato proprio dagli M23, forti del terreno guadagnato nelle ultime campagne e accusando il governo di aver lanciato una controffensiva.
La redazione consiglia:
NEGLI STESSI GIORNI gli studenti universitari di Butembu-Beni, nel Nord Kivu, gridavano in un appello: «Le nostre risorse minerarie, necessarie per la transizione tecnologica ed energetica, sono fra le più ambite dalle potenze mondiali. Ma per accedervi, è proprio necessario ucciderci, condannarci alla miseria, distruggere le nostre città, le nostre case, il nostro ambiente?».
La redazione consiglia:
Dopo 30 anni, basta guerra. Il grido degli studenti congolesi
IL PROGETTO TRUMPIANO, infine, costituirebbe una delle poche linee di continuità con la presidenza Biden, che durante il suo mandato ha tentato più volte di mettere le mani sui giacimenti congolesi. Trump ha infatti lasciato intatto l’ambizioso progetto del «corridoio Lobito», una ferrovia che dalla Rdc arriverebbe in Angola, da cui spedire verso gli Usa le risorse provenienti da Repubblica Democratica del Congo, Zambia e Angola. Sul sito del progetto, in un video promozionale che compare nella pagina d’apertura, si legge: «questa ferrovia da 1,7 miliardi di dollari è la prima sfida statunitense alla Cina in Africa».
* Fonte/autore: Annaflavia Merluzzi, il manifesto
Related Articles
Migranti. Il ministro Minniti ora vuole i Cie anche in Niger e in Ciad
Arrestiamo umani. L’Alto commissario Unhcr Grandi in Libia si dice sconvolto dalle condizioni di detenzione dei migranti
Elezioni. Alle urne anche in 2 Regioni e 4 mila Comuni
Inizia il conto alla rovescia per le elezioni europee. Ventotto i Paesi coinvolti
Un canale di 278 km La Cina lancia la sfida per l’America Latina
«Sarà la più grande opera mai realizzata»