Messico. Le sparizioni sono sparite

Messico. Le sparizioni sono sparite

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Dal 2006 a oggi sono scomparse 126mila persone. Sulla spinta dei familiari il caso arriva all’Assemblea generale dell’Onu, ma la reazione della politica locale è «scomposta»

Può un Paese che conta più di centoventisettemila persone scomparse dal 2006 a oggi scandalizzarsi e parlare di «ingerenze» e «intromissioni» da parte dell’Onu per aver aperto un procedimento urgente sul tema? Nel caso del Messico, è successo proprio questo: sulla scorta di informazioni raccolte in quattordici stati, infatti, il Comitato sulle sparizioni forzate dell’Onu, al termine della sessione che si è conclusa lo scorso 4 aprile a Ginevra, ha deciso di attivare l’articolo 34 della Convenzione per la protezione delle persone dalle sparizioni forzate per chiedere chiarimenti e cooperazione al Messico, con la possibilità concreta di portare il caso fino all’Assemblea generale Onu.

LA DECISIONE ha fatto scattare la reazione delle istituzioni messicane. Il primo a insorgere è stato Gerardo Fernández Noroña, presidente del Senato, per il quale l’Onu sta adottando misure «senza alcuna prova» e con l’unico obiettivo di «intromettersi» nella politica messicana «contribuendo ai tentativi della destra di mostrare un legame tra il governo» di Claudia Sheinbaum «e i gruppi criminali».

Quindi è stato il turno di Rosario Piedra Ibarra, alla guida della Commissione nazionale dei diritti umani, la quale ha dichiarato che in Messico «non c’è nessuna crisi di sparizioni» e, soprattutto, che questa «sia conseguenza delle scelte politiche» del Paese. Una posizione, quella di Piedra Ibarra, che ha fatto infuriare le associazioni dei familiari delle persone scomparse e delle ong, a partire da Amnesty International.

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Ma cosa comporta la decisione dell’Onu? E, soprattutto, perché dal Messico è arrivata una simile risposta? Per Gabriella Citroni, professoressa di Tutela internazionale dei diritti umani all’università di Milano-Bicocca e presidentessa del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite contro le sparizioni forzate, «il caso delle fosse clandestine ritrovate nello Stato di Jalisco» in un ranch trasformato in quello che potremmo definire un campo di sterminio, «ha creato un clima di tensione in Messico che ha travolto anche la politica» e fatto da sfondo alla reazione delle istituzioni messicane «al ricorso, per la prima volta nella storia del Comitato sulle sparizioni forzate, all’articolo 34».

IN CONCRETO, però, quello che il Comitato sta facendo è dare la possibilità al Messico di chiarire se ci sia una pratica sistematica di sparizioni forzate nel Paese prima di arrivare al cospetto dell’Assemblea generale. «Una richiesta – spiega Citroni – nata sulla spinta dei familiari delle migliaia di persone scomparse e iniziata quattro anni fa, sotto il governo Obrador».
Il Messico, precisa Citroni, «non è sotto accusa ma è stato messo nelle condizioni di spiegare, di dialogare, di entrare finalmente nel merito e al cospetto della comunità internazionale. Ovviamente, se nella prossima sessione del Comitato prevista per settembre si deciderà di portare la questione al cospetto dell’Assemblea generale, dipenderà dalle spiegazioni che verranno date» alla domanda centrale della questione: esiste una pratica sistematica di sparizioni forzate nel Paese? Se la risposta al quesito sarà affermativa, «significa che si stanno commettendo crimini contro l’umanità, con la conseguente possibilità che si attivino altri organi internazionali per accertare la responsabilità degli individui».

Altro elemento che Citroni tiene a chiarire è come «la questione non riguardi il partito di Morena, fondato da Obrador e oggi guidato da Sheinbaum, ma l’intera storia recente del Messico». Ciò che però non può essere accettato sono le reazioni «scomposte» degli esponenti del governo: «Negare l’esistenza di una crisi delle sparizioni è ri-vittimizzare i familiari delle persone scomparse. Potevano dire “non le ho fatte sparire io”, ma non negare il fenomeno».

ED È PROPRIO AI PARENTI che guarda invece Citroni e, in generale, il comitato Onu. «Le famiglie possono essere fonti importanti e fornire informazioni sull’accaduto. Devono essere parte attiva del sistema di ricerca e di tutela». Invece sono viste «quasi come parte del problema». Lo stesso vale per le associazioni e le ong: «Contrastare la società civile è un errore sociale, politico e strategico. Tenerle ai margini di una strategia di contrasto del fenomeno, che viene costantemente sminuito, ha come obiettivo quello di tenere a freno la possibile indignazione della popolazione». Da qui, è inevitabile pensare che a infastidire il governo sia stata la volontà dell’Onu di accendere i riflettori sulla questione: «L’accusa sembra essere quella di aver portato alla ribalta internazionale il problema in un momento delicato, con la scoperta delle fosse di Jalisco».

PER IL COMITATO, quindi, il governo Sheinbaum è ora a un bivio. Ricevere l’assist dell’Onu e fare finalmente luce sul fenomeno o farsi autogol, mostrandosi restii a dare una risposta a livello locale e internazionale. Rispondere in maniera viscerale a una richiesta di informazioni va nella seconda direzione. «L’augurio – conclude Citroni – è che queste risposte siano state, diciamo così, sfortunate e poco ragionate e che il governo decida invece di lavorare insieme al Comitato, alle ong, alle associazioni. E soprattutto alle famiglie».

In fondo, i numeri non mentono e non possono essere più nascosti: solo a Jalisco, lo stato messicano in cui è avvenuto il macabro ritrovamento delle fosse comuni, dal 1° dicembre 2018, giorno dell’inizio del governo Obrador, al 21 marzo 2025 – data ultima di aggiornamento del triste dato – sono scomparse quasi 12mila persone.

* Fonte/autore: Daniele Nalbone, il manifesto



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