Milano. Il primo ricorso contro il decreto sicurezza apre una crepa costituzionale

Chiesto il rinvio alla Consulta durante la direttissima per un giovane accusato di resistenza aggravata. La decisione a maggio
La prima crepa costituzionale nel neonato decreto sicurezza potrebbe aprirsi il prossimo 26 maggio, quando a Milano la giudice Ilaria Simi de Burgis scioglierà la sua riserva sulla richiesta di rinvio alla Corte costituzionale presentata dagli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini durante la direttissima per un arresto effettuato sabato. La storia è quella di un ragazzo che non si è fermato a un posto di blocco e poi, una volta fermato, ha avuto un alterco con le forze dell’ordine.
IL REATO che gli è stato contestato è quello di resistenza aggravata dal fatto di essere stata commessa contro un agente in divisa, novità aggiunta all’articolo 337 del codice penale dal decreto uscito in Gazzetta ufficiale appena pochi giorni fa. In buona sostanza, dice la legge, se la resistenza è commessa «nei confronti di un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza con l’aumento di pena fino alla metà». Losco e Straini, nella loro questione di costituzionalità presentata alla giudice durante l’udienza di ieri mattina, sostengono che al decreto manchino le «ragioni di necessaria e straordinaria urgenza» proprie dei provvedimenti di questo genere.
«IL PREAMBOLO del decreto – sostengono i due legali – non indica in alcun modo quale siano le ragioni di straordinaria urgenza fattuali poste a fondamento della decretazione d’urgenza, ma si limita a riportare con affermazioni apodittiche il titolo dei capi del testo». Questo significa chenon ci sono i requisiti per la «emissione del decreto», che per sua natura deve avere alla base ragioni «straordinarie» di «necessità e urgenza». Ma, insistono Losco e Straini, le motivazioni «che hanno indotto il governo ad appropriarsi del testo, sottraendolo all’esame del parlamento» riguardano proprio la tempistica dei lavori di Camera e Senato, dove il testo viaggia ormai da mesi senza che le opposizioni riescano ad emendarlo.
CON LA SENTENZA numero 171 del 2007, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale un decreto per difetto dei requisiti dettati dal secondo comma dell’articolo 77 della Carta, che regola gli atti provvisori con forza di legge che il governo può adottare in situazioni di necessità e urgenza. In pratica, dissero i giudici costituzionali richiamandosi a un pronunciamento precedente (la sentenza numero 29 del 1995), il requisito fondamentale di necessità e urgenza sussite solo nel caso in cui ci sia una «situazione di fatto» pre-esistente rispetto all’emanazione del decreto. I tempi parlamentari, in tutta evidenza, non costituiscono questo requisito. «L’assoluta mancanza della straordinarie ragioni di necessità ed urgenza peraltro lo si può anche evincere dall’iter procedurale di questo testo normativa», chiosano Losco e Straini. Quando era solo un semplice disegno di legge, quello che adesso chiamiamo decreto sicurezza, è stato approvato dalla Camera il 18 settembre scorso e adesso è in Senato, dove ha già esaurito il suo percorso nelle commissioni. Quando poi, due settimane fa, è emerso un problema di coperture finanziarie, si è presentato il problema di rimandare il testo a Montecitorio per una terza lettura. Un intoppo, certo, ma niente che consenta di parlare di «necessità e urgenza»: sono i tempi della democrazia.
PER GLI AVVOCATI, comunque, questo non l’unico problema: il testo del decreto infatti «ha un carattere del tutto disomogeneo» perché presenta «norme in materia di prevenzione alla lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata nel primo capo, norme poste a tutela della sicurezza pubblica nel secondo, norme a tutela delle forze dell’ordine nel terzo, norme a tutela delle vittime dell’usura, e norme di modifica dell’ordinamento penitenziario». Tutto insieme, senza soluzione di continuità.
* Fonte/autore: Mario Di Vito, il manifesto
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