Report 2024/2025. Amnesty International denuncia la crisi globale dei diritti umani

Report 2024/2025. Amnesty International denuncia la crisi globale dei diritti umani

Loading

Sono registrate due tendenze: all’incancrenirsi dei conflitti armati e alla repressione illegale del diritto di manifestare. Le leggi internazionali ormai ignorate, la loro applicazione segnata dal doppio standard. Dal genocidio in Palestina fino alle esecuzioni degli studenti in piazza in Bangladesh, l’associazione delinea un quadro tragico

Il 2024 ha visto due tendenze: «L’incancrenirsi dei conflitti in tutto il globo e la repressione delle proteste», così Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, ha riassunto il rapporto annuale 2024/2025 dell’associazione sullo stato dei diritti umani nel mondo. Ad aprire la conferenza di presentazione del report, tenutasi ieri presso la Sala Stampa Estera di Roma, è Ileana Bello, direttrice generale Amnesty International Italia, che ha subito sottolineato un ulteriore deterioramento del sistema di protezione globale dei diritti umani, già evidenziato nel rapporto dello scorso anno.

L’EMISFERO NORD del mondo è ormai avviato su un pericoloso crinale, alimentato dall’«effetto Trump»: dall’insediamento del nuovo presidente Usa il multilateralismo e le istituzioni internazionali subiscono attacchi quotidiani, cui fanno eco le dichiarazioni di numerosi capi di stato europei circa l’intenzione di non applicare il mandato d’arresto internazionale per il premier israeliano Netanyahu, messe in pratica dal presidente ungherese Victor Orbán, e il rimpatrio su un volo di stato italiano del torturatore libico Almasri, anch’egli sottoposto a mandato d’arresto dalla Corte penale internazionale.

NEGLI USA si inaugura una «nuova stagione reazionaria»: dall’eliminazione dei finanziamenti ai programmi salva-vita in Yemen, Siria, Myanmar – che per quest’ultimo ha messo a dura prova la gestione del terremoto che lo ha colpito il mese scorso – fino alla cancellazione del diritto d’asilo e delle tutele di genere, alle persecuzioni e deportazioni razziali.

GIÙ LE MASCHERE: «Con Trump il diritto diventa il diritto del più forte, di imporre la pace alle sue condizioni – come in Ucraina o nella Repubblica democratica del Congo – il diritto di costringere gli altri a riarmarsi e di farsi beffe delle leggi internazionali», afferma Bello. Con Trump il doppio standard, anziché un’attitudine da combattere e superare, viene elevato a metodologia politica. La libertà di protesta, invece, diventa una questione di gestione dell’ordine pubblico e di lotta all’antisemitismo. Qui non sono da meno i leader europei, a cominciare dall’Italia con l’approvazione, il 4 aprile, del decreto sicurezza da parte del Consiglio dei ministri: «Il governo Meloni sta smontando pezzo dopo pezzo il diritto di protesta in Italia», commenta Ilaria Masinara, responsabile delle campagne Amnesty nel nostro paese.

LA REPRESSIONE generalizzata del dissenso caratterizza, secondo le ricerche dell’associazione, decine di paesi: la situazione più critica si incontra in Bangladesh, dove le forze dell’ordine hanno fatto mille morti tra gli studenti che a luglio hanno protestato contro un decreto ministeriale. Segue il Mozambico, dove le forze di sicurezza hanno ucciso almeno 277 persone – che secondo gli ultimi accertamenti potrebbero essere addirittura 400 – per le contestazioni di un risultato elettorale.

LA TURCHIA, il cui presidente Recep Tayyip Erdogan è ospite oggi della premier Meloni a Roma, ha imposto il divieto generale di protesta e dispiegato un uso illegale della forza contro i manifestanti, scesi in piazza a seguito dell’arresto arbitrario del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu. In Afghanistan alle donne «rimane a malapena il diritto di respirare, ma continuano le proteste online contro l’apartheid di genere cui sono sottoposte», spiega Riccardo Noury.

IN SALA c’è anche Alberto Amaro Jordan, giornalista messicano fondatore del periodico online La prensa de Tlaxcala, perseguitato a causa del suo lavoro di denuncia della corruzione e dei cartelli della droga: «Hanno tentato di assassinarmi più volte, un giorno hanno aperto il fuoco sul cortile di casa mia, dove mio figlio di 13 anni stava giocando a palla. Sono dovuto scappare e ho ricevuto asilo in Spagna, dove continuo a svolgere il mio lavoro». Spiega che il Messico è stabilmente tra i 10 stati al mondo dove avvengono più omicidi di giornalisti: «Dal 2000 ad oggi ne sono stati uccisi centinaia, anche da parte del governo. Per questo ho lasciato il mio paese, il programma di protezione federale non era in grado, o non voleva, proteggermi».

I CONFLITTI ARMATI esplosi negli ultimi anni, poi, non fanno che peggiorare. Amnesty torna a denunciare il genocidio a Gaza e l’occupazione illegale e l’apartheid che Tel Aviv pratica in Cisgiordania. Sul fronte ucraino, invece, l’associazione registra un drastico aumento delle uccisioni indiscriminate di civili da parte dell’esercito russo, culminate nel massacro di Sumy la scorsa domenica delle palme. Noury ricorda poi i conflitti dimenticati nella Repubblica democratica del Congo e in Sudan, che ormai ha raggiunto 12 milioni di sfollati interni, decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti. «La comunità internazionale, inerte, ignora la peggiore crisi umanitaria al mondo, che al momento infuria in Sudan. Chi non ignora, poi, profitta cinicamente dalle risorse della ricca regione del Darfur, violando o aggirando l’embargo sulle armi posto sulla zona», accusa Noury.

NEL 2025 Amnesty celebra 50 anni di attività in Italia, ma è un festeggiamento amaro se si guarda al tragico quadro che denuncia. Ad addolcirlo solo qualche buona notizia, come la fine della vicenda giudiziaria di Julian Assange, che nel 2024 è tornato libero.

* Fonte/autore: Annaflavia Merluzzi, il manifesto



Related Articles

Per l’Onu, il Burundi è sull’orlo di una guerra civile

Loading

Burundi. Una guerra civile tra il 1993 e il 2005 è costata oltre 300 mila vite e più di un milione di sfollati

La Francia brucia, mentre Macron intensifica la repressione

Loading

Autobus bloccati e interruzione dei grandi eventi, ma senza état d’urgence. La rivolta continua e si estende. Scontri anche a Bruxelles. Un morto nella Guyana francese e uno a Rouen. Un altro manifestante sarebbe in fin di vita

Torce umane in nome del Tibet il Dalai Lama: “Genocidio culturale”

Loading

Dieci monaci e una religiosa suicidi contro Pechino.  La Cina vuole decidere chi sarà  il successore di Gyatso Ma i buddisti si oppongono. Da mesi i monasteri del Sichuan sono circondati e isolati dall’esercito cinese

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment