Tribunale dei popoli. Domenico Gallo: «In Rojava atti precursori del genocidio kurdo»

Parla l’ex senatore, nella giuria internazionale incaricata di valutare le prove sulle azioni della Turchia
«Questo tribunale ha lo scopo di contrastare quello che Sartre denunciava come il “crimine del silenzio” di fronte alle atrocità mascherate da operazioni antiterroristiche, come è emerso in questa sessione». Con queste parole si chiudono le 81 pagine di sentenza della 54esima sessione del Tribunale permanente dei popoli (Tpp) sul Rojava contro la Turchia, presentata al Parlamento europeo, a Bruxelles, il 26 marzo. Secondo il Tpp, le operazioni militari turche contro l’Amministrazione autonoma democratica della Siria del Nord-Est (Daanes) hanno violato norme come il principio di distinzione e il divieto di ritorsione contro i civili, contenuti nella Convenzione di Ginevra.
Larga parte della sentenza è tuttavia riservata ai crimini commessi nelle aree del nord-est occupate dalla Turchia e dal Syrian National Army (Sna), nel quadro di una «campagna sistematica contro la popolazione curda nel nord e nell’est della Siria almeno dal 2018, mirata a cancellarne l’identità», che ha portato la corte a riconoscere il dolus specialis del crimine di genocidio.
Tra i responsabili indicati dal Tpp figurano il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, i ministri della difesa Yasar Güler e Hulusi Akar, nonché Hakan Fidan in qualità di direttore del servizio di intelligence nazionale Mit fino al 2023 e di ministro degli Esteri, ruolo che ricopre ancora oggi.Nella giuria internazionale incaricata di valutare prove e testimonianze figura Domenico Gallo, ex senatore e già presidente di sezione della Corte di Cassazione.
Quali sono stati gli elementi che hanno portato a riconoscere il dolus specialis per il genocidio?
Bisogna premettere che il delitto di genocidio non è stato contestato. Le accuse presentate al Tpp riguardavano il delitto di aggressione, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Comunque il tribunale avrebbe potuto riconoscere – incidenter tantum – la sussistenza del delitto di genocidio. Non l’ha fatto perché nella Convenzione per la prevenzione e repressione del delitto di genocidio non rientra il genocidio culturale, cioè la distruzione della cultura di un popolo. Il tribunale ha acquisito la prova di una serie di atti, quali lo spostamento forzato della popolazione curda dalle zone occupate, sostituita con popolazione araba o turcomanna, la distruzione di siti religiosi e archeologici, profanazione di cimiteri e via dicendo, volti a cancellare le tracce della presenza curda nel territorio. Questi atti, che integrano tutti dei crimini di guerra, svelano l’esistenza del dolo specifico contemplato dalla Convenzione sul genocidio, cioè l’intenzione di «distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale». In conclusione potremmo dire che il tribunale ha preso conoscenza di una serie di atti precursori del delitto di genocidio.
In che modo la sentenza può essere utilizzata per intraprendere azioni concrete contro i responsabili?
Secondo il suo statuto il Tpp interviene quando non è possibile l’accesso ad organismi competenti della Comunità internazionale per rendersi tribuna di visibilità, di diritto di parola, di affermazione dei diritti dei popoli esposti a gravi e sistematiche violazioni dei loro diritti. Bisogna capire che il diritto internazionale non ha reali e concreti strumenti di garanzia, basti pensare all’ostilità e alle gravi limitazioni poste all’intervento della Corte penale internazionale. L’opinione pubblica è l’unica vera garanzia per il rispetto del diritto internazionale. L’accertamento dei fatti criminosi commessi dalla Turchia serve ad “armare” l’opinione pubblica e ad indurre – in particolare in Europa- ripensamenti delle relazioni internazionali con la Turchia.
Quali responsabilità ha la comunità internazionale nel garantire giustizia per i crimini documentati?
Il problema fondamentale è la demolizione dei presidi dello Stato di diritto operata da Erdogan in Turchia. In questi giorni stiamo assistendo al tentativo del presidente turco di sbarazzarsi dell’opposizione, utilizzando anche la magistratura dopo averla addomesticata, licenziando o imprigionando migliaia di giudici e pubblici ministeri.
Quali ostacoli esistono nel perseguire legalmente i funzionari del governo turco riconosciuti responsabili?
Poiché la Cpi non può intervenire, non avendo la Turchia ratificato lo Statuto di Roma, soltanto la giustizia domestica potrebbe farlo, ma questo presuppone che sia ripristinato lo Stato di diritto.
La sentenza sottolinea l’importanza del modello Rojava: in che modo questo processo può contribuire alla sua protezione?
Facendo conoscere all’opinione pubblica internazionale il valore di questo esperimento di democrazia e di autogoverno, assolutamente straordinario per il Medio Oriente.
* Fonte/autore: Tiziano Saccucci, il manifesto
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