Gaza-Cisgiordania: quanto pesa il silenzio complice

Gaza-Cisgiordania: quanto pesa il silenzio complice

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Tutto è stato detto sulla criminalità più evidente e intollerabile – una inumanità più radicale della formalità giuridica di un genocidio – di quanto lo Stato di Israele sta portando a termine in quella “Terra santa” che un tempo era considerata centrale per il periodo pasquale e che quest’anno ha coinciso con il congedo di Francesco, forse l’unico dei “capi di Stato” che non si è stancato di essere connesso al residuo della vita del popolo palestinese. Il clamore globale intorno alla morte di Francesco, con il suo misto incredibile di emozione reale e di ipocrisia senza ritegno, ha relegato alla oggettività della cronaca minore la continuazione della cancellazione del futuro di un popolo praticata come una routine che ha combinato tutte le forme possibili di negazione dell’umanità: dalla tradizionale eliminazione militare della popolazione civile, alla antica strategia di tortura di massa per fame e sete, al perfezionamento della distruzione di ogni presidio sanitario, alla pulizia del territorio con i bulldozer.

Non c’è stato nessuno spazio, neppure per un momento di citazione della politica ufficiale di uno Stato che continua ad essere considerato un interlocutore imprescindibile della cosiddetta “comunità internazionale”. Gli accenni delle Nazioni Unite alla intollerabilità del blocco delle misure umanitarie sono apparse come raccomandazioni rassegnate a dipendere dalla arbitrarietà del Governo di Israele, disponibile solo, e non si sa in che misura, ad ascoltare i suggerimenti di un presidente di un paese, gli Stati Uniti, che nel frattempo ha cancellato, con conseguenze certe, tragiche, perfettamente illegali i suoi programmi sociosanitari a livello internazionale. E che continua a considerare intollerabili, anche sul suo territorio, le posizioni di chi sostiene il diritto all’esistenza del popolo palestinese perfino a livello delle istituzioni accademiche più qualificate.

L’apparente concentrazione di attenzione alla situazione dell’Ucraina, con il rito di strette di mano accuratamente selezionate e commentate, con foto storiche nel contesto solenne di una basilica che avrebbe ascoltato un discorso centrato sulla radicale scelta di Francesco contro la guerra e per una pace non fatta di parole, ha accentuato ulteriormente l’incredibilità e la gravità della situazione internazionale attuale. Gli umani non fanno parte delle agende della politica. Gaza e la Cisgiordania ne sono la prova al di là di ogni dubbio. Rappresentano tutti i popoli che non coincidono con le priorità di interessi di poteri, statali ed economici, che hanno dichiarato decaduti i diritti delle persone concrete. Il popolo trasversale dei migranti ha la stessa sorte, diffusa. Come i palestinesi di Gaza e Cisgiordania. E i popoli destinati a essere vittime di un silenzio che coincide con la cancellazione di gruppi umani dalla universalità formale dei diritti umani e dei popoli.

Ci sarà ancora attenzione a chi sarà il Papa nominato da un conclave: per avere un altro motivo di silenzio sulla ipocrisia di autorità pubbliche e di poteri privati che agiscono nella stessa logica dello Stato di Israele, che vive della loro connivenza. Non è previsto né prevedibile un lutto-memoriale per le democrazie che sia simbolicamente paragonabile a quello che ha accompagnato la scomparsa di un testimone della pace (e delle condizioni che la rendano almeno pronunciabile come valore e obiettivo imprescindibile). Il destino di Gaza e del popolo palestinese è in questo senso il test fondamentale della credibilità e della sostenibilità del sistema di democrazie che tutti riconoscono essere in crisi, ma senza che si possano vedere segni di cambiamenti o almeno di coscienza condivisi sostanziali. Il silenzio o la reticenza su Gaza, anche quando si traveste di discussioni su responsabilità più o meno da accertare, è ancor più grave, concretamente e simbolicamente, perché ha contagiato in modo profondo anche la stampa e in generale il mondo della comunicazione: non si può lasciare solo a “testimoni”, per quanto importanti, lucidi, autorevoli (Francesca Albanese è una delle rappresentanti esemplari).

Gaza non è una cronaca. È uno snodo di civiltà. La sua narrazione di fondo, politica e non solo né principalmente umanitaria, deve includere senza finte reticenze riconducibili ad antisemitismi o simili, responsabilità-connivenze che toccano tutta la geopolitica, non solo della regione, e la tenuta stessa delle relazioni e degli organismi internazionali. Come e molto più radicalmente di quanto si discute per l’Ucraina, Israele sta sperimentando, nella più perfetta impunità, l’irrilevanza stessa di regole internazionali, e una interpretazione della sicurezza solo in termini di poteri militari, e delle relative tecnologie più o meno legali. Il silenzio sostanziale della UE, che continua a non riconoscere l’esistenza della Palestina come entità riconosciuta dalle Nazioni Unite è a sua volta il segno di una dipendenza dagli Stati Uniti e al loro potere di dichiarare terroristi tutti i popoli che lottano per la loro autodeterminazione (il rischio che, nella Regione, l’esistenza stessa di una realtà come Rojava possa essere a rischio, per l’influenza della Turchia, va in questa direzione).

Il “tutto è già stato detto”, da cui è partita questa nota, è, drammaticamente, confermato. Ogni prolungamento della strategia di osservare, magari anche con “rammarico”, mantenendo il silenzio politico, è un passo in più verso l’inclusione di politiche genocidarie, sotto non importa quale nome, tra le pratiche “disponibili” normalmente in un mondo che confinerà le pratiche, se non la parola, di democrazia tra le opzioni “flessibili”, e perciò facoltative.

* Fonte/Autore: Simona Fraudatario e Gianni Tognoni, Volerelaluna

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