Giovanni Pirelli, Luca ed io

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Luca ed io, romanzo inedito di Giovanni Pirelli, è un libro che dovrebbero leggere tutti quelli che parlano di guerra e di bombe nucleari con la leggerezza di chi è convinto che la guerra non li toccherà, che saranno altri a morire, a rimanere mutilati, a dover uccidere

Devo confessare che mi emoziona scrivere di Giovanni Pirelli. Eravamo, più o meno, nel 1963-64. Ero giovanissima, lavoravo come operaia alla Sit Siemens insieme ad altre cinquemila ragazze. Erano anni di grande fermento nelle fabbriche e molto anche a livello internazionale. Cuba e Algeria erano uscite vittoriose con le loro rivoluzioni e avevano sconfitto il colonialismo, ma altri movimenti di liberazione erano presenti in gran parte dell’Africa. Per noi, giovanissime ragazze, inchiodate per nove ore al giorno alla catena di montaggio, quei fermenti in corso nel Terzo mondo sembravano indicare l’ora del riscatto dei diseredati della terra. Volevamo capire, sapere, partecipare e fu così che La Casa della cultura di Milano divenne per noi, per me, un punto di rifermento importante per avere notizie su quei popoli oppressi. Fu proprio alla Casa della cultura che incontrai Giovanni Pirelli, teneva un ciclo di conferenze sul pensiero di Franz Fanon, sull’Algeria e su Cuba.

Quando usci il suo libro “L’altro elemento”, quattro romanzi in un solo libro, mi precipitai a comprarlo, volevo conoscere di più su quell’uomo così gentile e preparato. Mi colpì in modo particolare “A proposito di una macchina”. In questo romanzo Giovanni Pirelli descrive, in modo molto preciso, la condizione operaia, quella stessa che io vivevo in fabbrica. Aveva capito la tensione e la disperazione che provocava a noi operaie “alla catena” la presenza costante dei “tempisti”, tecnici il cui unico compito era studiare i nostri movimenti nel montare i pezzi e trovare il modo per tagliare i tempi di lavorazione. Ricordo un episodio in cui l’ansia e lo stress di avere sul collo questi tempisti fece svenire circa 70 donne in vari reparti della Sit Siemens. Giovanni Pirelli lo aveva descritto talmente bene che mi emozionai, aveva capito e descritto anche nei minimi particolari quanto fosse grande la nostra fatica.

 

Il grande inganno della guerra

 

Luca ed io (edizione Quodlibet storie, 150 pagine, 14 euro), romanzo inedito di Giovanni Pirelli, è un libro che dovrebbero leggere tutti quegli uomini, e anche quelle donne, che oggi, seduti al caldo di una redazione o nei banchi imbottiti del parlamento, parlano di guerra e di bombe nucleari con la leggerezza di chi è convinto che la guerra non li toccherà, che saranno altri a morire, a rimanere mutilati, a dover uccidere. E dovrebbero leggerlo anche tutti coloro, e ce ne sono purtroppo, che mangiano davanti alla tv senza smarrirsi d’orrore guardando i gazawi morire di fame, di sete e di bombe nell’assedio di quel campo di concentramento che è Gaza. E anche quei soldati israeliani che credono di salvare la patria senza rendersi conto che stanno massacrando la loro umanità e anche quella di Israele.

Perché Luca ed io di Giovanni Pirelli è proprio questo, è la storia di un uomo che è andato alla guerra credendo di rendere grande la patria o, almeno, di morire da eroe “come insegnano a scuola” e scopre di essere stato una pedina “non innocente” di un “inganno criminale”. E, la sua fortuna di uomo, non di militare, è stata proprio quella di essere sconfitto, e doversi, quindi, misurare con la cruda realtà della guerra. Per lui nessuna marcia trionfale, nessuna fanfara, ma la vergogna di aver creduto, sciocco adolescente imbevuto di false promesse, alla guerra come il campo degli eroi, la sfida dei coraggiosi. Misurarsi con la disfatta costringe l’individuo a sbattere il muso contro la realtà, senza fronzoli e senza pennacchi. Perché ha visto che la morte non è quella gloriosa dell’eroe che aveva letto nei libri ma sono i pidocchi e la dissenteria nelle trincee, sono i corpi di giovani smembrati dalle bombe. Perché adesso sa che il sangue dell’uomo puzza come quello delle carogne e ha visto “quando i piedi non sono più piedi da camminare, sono ossa con sopra qualche pezzo di carne viola”. Ha visto uccidere o bruciare vivi donne e bambini inermi e “per disciplina” ha taciuto, e ha visto, nell’ora della disfatta, i generali e gli ufficiali fuggire allo sbando ma, loro, sulle camionette lasciando dietro di sé i soldati a morire decimati o a trascinarsi come fantasmi straccioni, sostenuti solo dall’istinto bestiale del voler vivere, a qualunque costo. Ha scoperto il vero inferno, quello in cui non c’è più nulla da sperare. La verità devastante, ma finalmente onesta che, a dispetto degli ideali, la vita vuole vivere, vivere e basta.

Luca ed io però non racconta solo la ritirata dell’esercito italiano nella disgraziata campagna di Russia dopo lo sfondamento del fronte del Don, avvenuta tra il 15 gennaio e il 15 marzo del 1943, di cui Giovanni Pirelli era stato protagonista e testimone; non è soltanto una potente invettiva contro la guerra e i falsi ideali di patria e del fascismo, ma è, soprattutto, una dolorosa presa di coscienza.

È l’inizio di un processo di trasformazione di un giovane di belle speranze in un uomo deciso a battersi contri i privilegi. E di privilegi Giovanni Pirelli, primogenito di una dinastia di industriali della gomma, se ne intendeva. Era stato educato alle buone maniere, sapeva le lingue, aveva carisma e conosceva l’arte di comandare e di farsi ubbidire ma, invece, di guardare il potere aveva guardato gli operai delle sue fabbriche, la loro fatica, la loro dignità. Cresciuto, lui nato nel 1918, nella retorica fascista aveva cercato nel campo di battaglia di essere solo uno tra i tanti, di trovare nella disciplina militare un equilibrio giusto, ed era così passato guerreggiando dalla Libia, alla Macedonia, dalla Grecia alla Russia maturando una non facile presa di coscienza dell’insensatezza della guerra, della corruzione del regima fascista e della responsabilità della classe dirigenti italiana in quella carneficina. Sino a quell’8 settembre del 1943 in cui ogni onore è andato a farsi friggere e scegliere, infine, di stare dalla parte che gli sembrò la più giusta, raggiungere in val Chiavenna, la 90a brigata Garibaldi “Zampiero”, nome di battaglia “Pioppo”.

A guerra finita si iscriverà al Partito socialista di Unità Proletaria. Sarà, sino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1973 per un incidente automobilistico, uno dei grandi intellettuali del dopoguerra. Fondatore e animatore del Centro culturale Pirelli, sarà tra i promotori della Casa della Cultura. Sempre a Milano, frequenterà assiduamente la libreria Einaudi di via Filodrammatici, nel postguerra ritrovo degli intellettuali di sinistra, dove incontrerà i grandi nomi della cultura di allora: Paul Eluard, Ernest Hemingway, John Steinbeck. Amico di Elio Vittorini, sarà accanto a Paolo Grassi e a Mario Apollonio nell’impresa che diventerà il Piccolo teatro di Milano. A Napoli frequenterà l’Istituto per gli Studi Storici fondato da Benedetto Croce e lavorerà con lo storico Federico Chabot su Francesco Crispi. Entrerà a far parte della rivista Movimento operaio, animata dal grande Gianni Bosio. Finanzierà le ricerche sulla Resistenza e, insieme a Piero Malvezzi, raccoglierà e curerà due importantissime pubblicazioni, le Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana e le Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea. Nel 1961 sarà tra i fondatori e il finanziatore di Quaderni rossi, la rivista voluta da Raniero Panzieri.

Per Giovanni Pirelli,“ la Resistenza non è affatto finita con la disfatta del fascismo. È continuata e continua contro tutto ciò che sopravvive di quella mentalità, di quei metodi; contro qualsiasi sistema che dà a pochi il potere di decidere per tutti. Continua nella lotta dei popoli soggetti al colonialismo, all’imperialismo, per la loro effettiva indipendenza. Continua nella lotta contro il razzismo”. Fu amico di Frantz Fanon e si schiera a fianco della resistenza algerina. Nel gennaio 1963 fonda il Centro di Documentazione Frantz Fanon, strumento per la conoscenza dei movimenti di liberazione in Asia, Africa e America Latina, in grado di dare fonti di diretta provenienza dai centri di guerriglia, senza mediazioni occidentale. Parteciperà nel Mississippi alla famosa marcia di Selma per i diritti civili dei neri organizzata da Martin Luther King, quella in cui Stokely Carmichael lancerà la parola d’ordine del “Black Power students”.

Finanziò molte imprese ma mai nulla sulla cui validità non potesse credere. La sua vocazione, però, resterà sempre la scrittura: romanzi, sceneggiature cinematografiche e testi teatrali. Di sé, senza celare una certa amarezza, diceva: “Di due persone di cui faccio conoscenza una mi chiede se sono il Pirelli delle gomme e una se sono il Pirelli delle lettere. Quanto al resto, vengo pervicacemente citato tra i giovani scrittori”. Luca ed io, non era mai stato pubblicato prima di questa edizione del 2024. Ci piace pensare queste poche righe come un ricordo e un omaggio non solo all’intellettuale ma all’uomo gentile, generoso e riservato che è stato.

 

* Fonte/autore: Silvana Barbieri

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