Il decreto Sicurezza arriva al Senato, opposizioni in rivolta

Il decreto Sicurezza arriva al Senato, opposizioni in rivolta

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Tra i cartelli di protesta, la Camera licenzia con 163 voti a favore e 91 no il provvedimento da convertire in legge entro il 12 giugno. Timing serrato per l’iter a Palazzo Madama: martedì incardinato e subito in Aula

«Decreto paura», «Né liberi né sicuri», «La protesta non si arresta», «La democrazia non si piega», è scritto sui cartelli. Ma non sono quelli innalzati nelle piazze di protesta in cui la sorellina d’Italia Augusta Montaruli sobriamente segnala la presenza di «bombe a mano». Sono invece quelli esposti ieri dai deputati di Pd, Avs e M5S in Aula alla Camera prima del voto finale sul decreto Sicurezza. I commessi li fanno abbassare, le opposizioni protestano più forte: «Vergogna», gridano. La maggioranza ripaga con un «Onestà, onestà» di grillina memoria. Il tutto in diretta Rai. Poco dopo, l’Assemblea – di nuovo riempitasi dopo una giornata in cui i banchi delle destre erano rimasti completamente vuoti mentre si susseguivano i circa 90 interventi dei deputati della minoranza, ma con alle spalle una seduta notturna che si era conclusa alle 5 del mattino – licenzia il testo con 163 sì, 91 no e un astenuto (la fiducia era stata incassata martedì scorso con 201 voti a favore, 117 contrari e 5 astenuti). Ora il decreto passa al Senato per essere convertito in legge entro il 12 giugno.

CE LA FARÀ senza intoppi, anche perché la blindatura è totale, con un timing talmente serrato che suona come l’ennesimo sberleffo al Parlamento: arrivo previsto per l’incardinamento nelle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di Palazzo Madama, martedì 3 giugno alle 13:30; ore 15, il limite per la presentazione degli emendamenti; esame del testo chiuso entro le 16; approdo in Aula alle 17, presumibilmente senza mandato ai relatori che nelle commissioni sono rimasti gli stessi del precedente ddl, Marco Lisei (FdI) per la Affari costituzionali ed Erika Stefani (Lega) per la Giustizia.

PARADOSSALMENTE, i più soddisfatti del risultato sono i deputati della maggioranza, esautorati dalle loro funzioni non meno degli altri parlamentari. Dalla parte opposta le critiche iniziano tutte con la questione del metodo: «Siete riusciti nell’impresa non facile di mettere d’accordo giuristi, magistrati e avvocati penalisti, tutti critici a questo provvedimento. Non era semplice – attacca Elly Schlein – Con l’Unione delle Camere penali che ha sintetizzato molto efficacemente che peggio del disegno di legge sulla Sicurezza, c’è soltanto il decreto Sicurezza». Che è «una forzatura inaccettabile e senza precedenti». Nel merito, poi, l’elenco delle norme deplorevoli è lungo quasi quanto i 39 articoli del «decreto della stupidità e dell’ipocrisia», come lo chiama Nicola Fratoianni (Avs).

IL DL SICUREZZA, «non impedisce di manifestare – giura invece il vice premier Matteo Salvini – impedisce di rompere le scatole a chi va a lavorare». Ma il segretario di +Europa, Riccardo Magi, ricorda in Aula il tempo in cui la Lega cavalcava i blocchi stradali contro le quote latte e perciò «derubricò il reato di blocco stradale a contravvenzione». Adesso che «a manifestare sono dei giovani, la Lega invece usa il pugno duro». «Ma il punto è – incalza Magi – perché un cittadino italiano dovrebbe sentirsi più sicuro per il fatto che a un agente di polizia fuori servizio viene consentito di portare un’arma non d’ordinanza, una pistola o un’arma da taglio con una lama di 65 centimetri?». È una delle domande possibili che non trovano risposta. Le altre le porteranno in piazza sabato a Roma i tanti manifestanti della Rete A Pieno Regime con «il più grande corteo di opposizione al governo Meloni», secondo le aspettative delle centinaia di associazioni che hanno aderito.

* Fonte/autore: Eleonora Martini, il manifesto



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