La soluzione finale di Trump per Gaza: un milione di deportati in Libia

Se Tripoli accetterà, Washington scongelerà i fondi libici per miliardi di dollari che tiene bloccati da molti anni. Il vertice arabo di Baghdad respinge qualsiasi progetto di sfollamento della Striscia
GERUSALEMME. A Tripoli, ci dice al telefono Ahmed K., un impiegato, «nessun media ufficiale ha riferito l’indiscrezione data dalla Nbc a proposito di colloqui tra Trump e (il primo ministro) Dabaiba sulla deportazione in Libia di un milione di palestinesi di Gaza, c’è stato solo qualche commento sui social». In ogni caso, aggiunge, «questo progetto è impossibile da realizzare. Primo perché i libici appoggiano il diritto dei palestinesi di restare nella loro terra. Secondo perché sarebbe insostenibile l’arrivo di un milione di profughi. La Libia è a pezzi, è teatro di scontri tra milizie armate, Dabaiba è sotto pressione e potrebbe dimettersi come hanno già fatto alcuni dei suoi ministri. Quindi, con chi sta discutendo Trump del suo piano?». Domanda legittima. E non solo per la fragilità di Dabaiba. Il sospetto è che il piano di deportazione dei palestinesi potrebbe essere finito anche sul tavolo di Khalifa Haftar, il rivale nell’Est del paese. Ipotesi remota, considerando amici e alleati del «leader» della Libia orientale, ma che non si può escludere.
Comunque sia, si deve prendere sul serio la notizia riferita dalla Nbc News tra venerdì e sabato, accolta con incredulità e preoccupazione dai palestinesi e non solo quelli di Gaza. Una nuova Nakba, un nuovo esodo palestinese, è il progetto che Donald Trump ha cominciato a mettere in piedi da quando è tornato alla Casa Bianca. Chi a inizio anno aveva sorriso di fronte alla sua idea di Gaza Riviera del Medio oriente – prontamente accettata dal premier israeliano Netanyahu – adesso comincia a realizzare che il tycoon faceva sul serio quando parlava del «trasferimento» definitivo in un altro paese degli oltre due milioni di palestinesi nella Striscia. Anche per la Libia la leva usata è quella economica. In cambio dell’accoglimento dei palestinesi, ha rivelato la Nbc, l’Amministrazione darebbe al governo di Tripoli miliardi di dollari della Libia che gli Stati Uniti tengono congelati da più di un decennio.
I dettagli su quando e come un eventuale piano per trasferire i palestinesi in Libia potrebbe essere attuato sono poco chiari. Inoltre, non ci sono conferme ufficiali da parte di Washington, Tripoli e Bengasi. Però appena qualche giorno fa, Trump ha annunciato che, a giugno, arriveranno «buone notizie per Gaza». Non è un mistero che il presidente Usa guardi alla deportazione dei palestinesi nella Striscia come a uno «sviluppo positivo».
Questo ultimo presunto progetto per Gaza si scontra con la complessa realtà sul terreno. Trasferire fino a un milione di palestinesi potrebbe mettere a dura prova un paese fragile come la Libia. Secondo un ex funzionario statunitense citato da Nbc News, non è stato ancora stabilito con precisione dove i palestinesi saranno reinsediati. Farli arrivare in Libia, ammesso che i palestinesi accettino di partire volontariamente, sarebbe molto complicato, oltre che costoso. Ad esempio, è stato calcolato che trasportare un milione di persone, a piena capacità, richiederebbe circa 1.173 voli sul più grande aereo passeggeri del mondo, l’Airbus A380. E a Gaza non c’è un aeroporto. Via terra richiederebbe un transito per l’Egitto – che il Cairo difficilmente approverebbe – e il trasferimento in bus di 2100 chilometri fino a Bengasi. Centinaia e centinaia sarebbero i viaggi di due giorni via mare se venissero usati i traghetti.
Della notizia riferita dalla Nbc non si è parlato, almeno ufficialmente, al 34° Summit arabo che si è concluso ieri a Baghdad. Però nella dichiarazione finale, i leader arabi ribadiscono il rifiuto categorico dello sfollamento del popolo palestinese – già espresso al recente vertice del Cairo convocato sul piano egiziano di ricostruzione della Striscia entro cinque anni con 53 miliardi di dollari -, invocano la fine della guerra e l’ingresso degli aiuti umanitari ed esortano la comunità internazionale a «fornire sostegno politico, finanziario e legale» per la ricostruzione di Gaza. Pochi giorni fa Trump aveva affermato il desiderio degli Usa di prendere possesso del territorio palestinese.
Da parte sua Israele va avanti con la sua offensiva militare e, come gli Usa, lavora dietro le quinte per trovare uno o più paesi disposti a ricevere i palestinesi da deportare. Impermeabile alle pressioni di ogni tipo e provenienza, l’esercito israeliano sta spingendo la popolazione di Gaza verso «spazi di accoglienza» di pochi chilometri quadrati che, secondo i media locali, sarebbero in via di allestimento. Il giornale Yediot Ahronot rivelava ieri che Israele installerà cancelli di ferro e posti di controllo quando gli sfollati provenienti dalla Striscia di Gaza settentrionale e centrale si sposteranno in massa a sud nella zona tra i corridoi Morag e Filadelfia, in cui verranno consegnati gli aiuti umanitari secondo le nuove modalità decise da Tel Aviv e Washington. La terza fase nel nord e nel centro di Gaza sarà simile a quanto accaduto a Rafah: le città saranno rase al suolo dalle ruspe.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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