L’adolescenza perduta di Gaza, ragazze e «madri supplenti»

L’adolescenza perduta di Gaza, ragazze e «madri supplenti»

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Donne giovanissime si prendono cura di bambini rimasti senza uno o entrambi genitori. Le bombe israeliane hanno fatto 39mila orfani, spesso feriti gravemente, mutilati, affetti da disabilità permanenti

GERUSALEMME. Sono oltre 39.000 i bambini di Gaza che hanno perso uno o entrambi i genitori. Di questi, ben 17.000 – secondo i dati diffusi dall’Ufficio centrale di statistica palestinese – hanno visto morire sia il padre che la madre sotto i bombardamenti israeliani. Sono sopravvissuti alla morte, ma ora sono soli. Spesso feriti gravemente, mutilati, affetti da disabilità permanenti. Hanno – e avranno – bisogno di cure mediche che il sistema sanitario di Gaza, devastato da missili e bombe, non è più in grado di garantire. E necessitano di un sostegno psicologico profondo per affrontare i traumi subiti, se mai sarà possibile farlo. «Presto il numero degli orfani potrebbe triplicare rispetto alle stime iniziali. Saranno fragili e ad alto rischio anche dopo la fine della guerra», avverte l’International Rescue Committee. Per le bambine e ragazze rimaste senza genitori il cammino sarà ancora più difficile.

Molte adolescenti – e persino ragazzine di 13-14 anni – hanno assunto il ruolo delle madri scomparse, prendendosi cura non solo dei fratelli più piccoli, ma anche di cugini, nipoti, talvolta di bambini estranei rimasti senza famiglia. Aya Dabbash, 16 anni, non avrebbe mai immaginato di diventare una «madre supplente» – come le chiamano a Gaza – e che sarebbe toccato solo alle sue braccia accogliere e dare calore a sua nipote Celine, di pochi mesi, unica sopravvissuta al raid aereo israeliano che ha annientato l’intera famiglia. Aya ha affidato a un giornale online palestinese il ricordo di quel momento: «Il bombardamento era stato così violento – ha raccontato – ci ha colpito da così vicino… Sono corsa da mia sorella e ho trovato Celine: era sola, sdraiata sul letto. Aveva il corpo coperto di ferite. L’ho presa tra le mie braccia e da quel giorno l’ho sentita parte di me».

Quella di Aya è una delle tante maternità nate sotto le macerie della Striscia. Giovani donne e ragazze sono state costrette ad assorbire rapidamente la perdita della famiglia e si sono ritrovate al centro di un’esperienza che va ben oltre la loro età. Aya, nel suo racconto, non ha nascosto lo shock provato nel momento in cui la maternità le è stata imposta dai massacri quotidiani di Gaza. «All’inizio avevo paura – ha detto – Mi chiedevo: posso gestire tutto questo? Sono troppo piccola per essere responsabile di una bambina. Poi mi sono ritrovata a fare tutto ciò di cui mia nipote aveva bisogno. Celine è stata il balsamo che ha curato le mie ferite, prima che io fossi il suo balsamo». Aya sognava di diplomarsi, andare all’università, costruirsi una famiglia. Il bagno di sangue a Gaza l’ha privata di tutto, anche del futuro.

Anche Alaa Al Hasanat, 15 anni, ha iniziato il suo percorso di maternità dopo aver perso gran parte dei familiari. È sopravvissuta ferita tra le macerie della propria abitazione. «Mi hanno portata in ospedale e non sapevo chi della mia famiglia fosse vivo o morto. Tra lo shock e il dolore, ho sentito mia nipote Sarah piangere senza sosta. Poi l’hanno messa tra le mie braccia e si è calmata». Col passare dei giorni, Alaa ha compreso l’enormità della responsabilità che la attendeva: crescere una bambina in mezzo alle macerie, ai raid aerei continui, alla fame. Il latte e i medicinali sono diventati introvabili.

Un’altra giovane, Hanaa Qarnawi, si prende cura del piccolo Osama, figlio della sorella. «Mio nipote – racconta – è nato dopo 16 anni di matrimonio. Mia sorella aveva lottato tanto per averlo, sottoponendosi a cure e trattamenti. Era così felice di averlo finalmente con sé. Poi, in un attimo, tutto è finito. Non ha nemmeno avuto il tempo di godersi quel figlio tanto desiderato». Racconti come questi si moltiplicano. Altre ragazze, anch’esse orfane, sono diventate madri surrogate.

«I 39.000 bambini di Gaza rimasti orfani rappresentano un trauma profondo per un’intera generazione», osserva al manifesto Pippo Costella, direttore di Defence for Children Italia. «È una ferita che avrà ripercussioni per decenni – aggiunge –. Molti dei minori sopravvissuti, privati di ogni figura adulta di riferimento, vengono oggi accuditi da altri bambini, costretti a sostituirsi ai familiari uccisi. Esperienze personali segnate dal lutto, dalla sofferenza, e dall’assunzione precoce di ruoli totalmente inadeguati all’infanzia».

Il pericolo più immediato per i bambini di Gaza – che costituiscono il 47% della popolazione – restano le bombe e di recente anche la fame. In molti rovistano tra i rifiuti in cerca di qualcosa da mangiare. I bambini morti per malnutrizione, riferiscono fonti locali, sono già decine. Decessi causati dal blocco degli aiuti umanitari imposto da Israele lo scorso 2 marzo, allentato solo in minima parte – e senza effetti concreti – dopo le proteste internazionali.

Dalla ripresa dell’offensiva israeliana, lo scorso 18 marzo, sono oltre mille le donne e i bambini uccisi. Il numero complessivo dei minori deceduti si avvicina a quota 20.000, secondo il ministero della Sanità di Gaza. E con il passare dei giorni cresce anche il numero degli orfani – di uno o di entrambi i genitori – assieme a quello delle giovanissime «madri supplenti». Gaza, ricorda Save the Children, è «il luogo più mortale al mondo per un bambino».

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto



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