Libia. Sanguinosa resa dei conti tra milizie: a rischio anche Elmasry

Libia. Sanguinosa resa dei conti tra milizie: a rischio anche Elmasry

Loading

L’intreccio con l’Italia. Il sistema di Juma al tramonto. Mediterranea: «Non è democrazia, è metodo mafioso»

Come una guerra di mafia. Dove la mafia controlla quasi la totalità dell’apparato statale. Il comandante Abdel Al Kikli è morto in un agguato: attirato nel campo militare di Tekbali, a sud di Tripoli, da un altro militare di rango, Mahmoud Hamza, nella notte di lunedì ha trovato ad attenderlo gli uomini di una milizia salafita chiamata 444° Reggimento, in passato vicina alla Turchia e ora fedelissima truppa del governo libico. Tre colpi di arma da fuoco e per l’uomo conosciuto anche con il nome di Gheniwa è stata la fine. Con lui si esaurisce anche la storia dello Stability Support Apparatus, la banda accusata da più parti di crimini contro l’umanità, dal 2021 posta sotto il controllo del governo di unità nazionale. Lo scorso agosto a Gianzur era stato ucciso Abdurahmans Salem Ibrahim Milad, detto Bija, comandante della guardia costiera di Tripoli, tra i più noti trafficanti di esseri umani al mondo. Adesso, sostengono fonti libiche, il prossimo obiettivo sarebbe a Mitiga, dove è di stanza Osama Elmasry, il capo della polizia giudiziaria arrestato in Italia lo scorso gennaio su mandato della Corte penale internazionale e, nel giro di due giorni, liberato e rimandato a casa perché il ministro della Giustizia Carlo Nordio non ha mai firmato le carte necessarie a trattenerlo.

IL REGOLAMENTO di conti in atto sembrerebbe dunque ai principali responsabili degli ultimi anni di torture e nefandezze ai danni di migranti in transito, oppositori, civili inermi: sia Al Kikli sia Bija sia Elmasry risultano tutti legati a vario titolo al ministro Adel Juma, che a febbraio è stato gambizzato da un misterioso commando mentre si trovava a poca distanza da Tripoli e poi ha scelto di farsi curare a Roma, in una clinica privata di via Portuense. Il premier Abdelhamid Dbaibaba, sui social, conferma che qualcosa sta succedendo e infatti ha definito gli scontri della notte che è stata fatale per Al Kikli come «un passo decisivo verso l’eliminazione dei gruppi irregolari». Il fatto è che questi gruppi fino a poco fa erano del tutto regolari: Bija è rimasto in servizio per anni mentre Gheniwa è stato un pezzo molto grosso del sistema di Dbaibaba. Prova ne sia, tra le altre cose, che insieme ad altri esponenti della classe dirigente libica, a marzo era stato anche a Roma a trovare il convalescente Juma. Poco dopo la stessa cosa ha fatto anche il premier. Da lì qualcosa si è incrinato. O forse aveva già cominciato a farlo. Non è un caso che nell’operazione dell’altra notte erano pure coinvolti uomini legati al ministro dell’Interno Mustafa Trabelsi, che ora possiamo considerare come il nuovo dominus dell’universo delle milizie. Fatto sta che quando a fine anno l’Italia e la Libia dovranno rinegoziare il memorandum sui migranti e il controllo dei confini, la situazione sarà diversa rispetto al recente passato. Questo almeno dal punto di vista di chi andrà a fare la trattativa, perché nei campi di prigionia del paese gli orrori continuano e non sembrano destinati a finire. L’ong Refugees in Lybia, giusto ieri, ha diffuso le immagini di quanto accade nel centro di Al Nasr, che almeno fino a ieri era controllato dalla milizia di Al Kikli: un museo degli orrori dove migranti e profughi vengono trattenuti, torturati e talvolta pure uccisi. Sono gli ostaggi di una guerra per bande che si sta consumando ormai da mesi.

DALL’ALTRA PARTE del Mediterraneo, l’intelligence italiana segue da vicino gli sviluppi della situazione: sta venendo meno l’apparato vicino al ministro Juma, ma questo non vuol dire che non si potranno rinnovare gli accordi nel nome di una ricetta stabile almeno dal 2017: informazioni e apparecchiature in cambio del controllo delle partenze verso il nostro paese. «Mi sembra che più che verso una stabilizzazione democratica, la Libia vada verso una notte di San Valentino – la chiosa finale del portavoce dell’ong Mediterranea, Luca Casarini – . Il metodo mafioso, non la democrazia, è l’orizzonte verso cui è stato spinto quel paese».

* Fonte/autore: Mario Di Vito, il manifesto



Related Articles

Matteo Salvini grida e annuncia, ma l’Ue prepara

Loading

Oggi Giuseppe Conte incontrerà a Palazzo Chigi il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk in vista del vertice dei capi di Stato e di governo del 28 giugno

Gli immigrati in Italia oltre quota tre milioni

Loading

Il rapporto della Caritas: c’è un immigrato ogni venti abitanti Sono uomini e donne in percentuale eguale, vengono dall’Europa

Quei piccoli corpi sulla sabbia di una prigione a cielo aperto

Loading

LE PAGINE di ieri si aggiornavano con titoli e foto su quattro bambini uccisi a Gaza su una spiaggia. Una di queste fotografie è specialmente difficile da guardare

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment