L’Italia: «Le nostre spese per la difesa al 2% del pil» ma per la Nato: «Serve il 5% da tutti»

Vertice di Antalya, in discussione i bilanci militari. Che non sono mai abbastanza
Bruxelles. L’obiettivo è quello dell’aumento al 5% del pil per le spese miliari. Lo ha chiesto Trump, a suo tempo, e ora la Nato esegue. Per i paesi europei un’asticella molto alta, se si considera che all’obiettivo si avvicina solo la Polonia, seguita dalla Grecia, con Spagna e Italia ben al di sotto. Ma se il premier spagnolo Pedro Sanchez aveva annunciato a fine aprile un controverso piano per aumentare la spesa almeno al 2%, ora è l’Italia che si avvia a fare lo stesso.
L’occasione per l’annuncio da parte del governo Meloni è quella del vertice dei ministri degli esteri dei paesi Nato ospitato ad Antalya. Dalla Turchia – secondo esercito della Nato dopo gli Usa e crocevia diplomatico della trattativa sul cessate il fuoco in Ucraina – il segretario generale dell’Alleanza atlantica Mark Rutte ha distribuito le pagelle delle capitali virtuose. Insieme a Lussemburgo, Bruxelles, Lubjana, anche Roma viene messa tra i «buoni» che vogliono spendere di più per le armi. E mentre Parigi e Berlino dicono di puntare verso l’altissimo 5%, per il governo italiano anche un incremento di pochi decimali appare tutt’altro che modesto.
La conferma arriva dal ministro degli esteri Antonio Tajani, a margine della ministeriale di Antalya: «L’Italia ha raggiunto il 2% del pil per le spese di difesa e sicurezza», afferma Tajani, aggiungendo poi che «il documento è già sul tavolo di Rutte». Un risultato che però non è il traguardo ma «un punto di partenza», precisa il ministro della difesa Guido Crosetto. Che esulta: «Era l’impegno che ci eravamo assunti e oggi lo abbiamo rispettato».
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L’annuncio del governo arriva piuttosto a sorpresa. Scettico Francesco Silvestri, parlamentare 5S, che chiede con urgenza un’informativa dei due ministri. «Devono spiegare come in una notte si è raggiunto il 2%, partendo dall’1,5%». E fa i conti: «Visto che il bilancio integrato della difesa nell’ultima legge finanziaria era di meno di 35 miliardi e che il 2% del pil sono invece 45 miliardi», Crosetto dovrebbe spiegare «dove ha trovato in una notte 10 miliardi da poter investire nella spesa militare».
«È chiaro che il 2% non è sufficiente», ha comunque chiarito il leader della Nato al termine del summit in Turchia. La proposta che Rutte ha in mente sarebbe quella di investire il 3,5% del pil per le forze armate, unito ad un’ulteriore 1,5% per spese sempre militari ma distribuite ad esempio sulle infrastrutture che facilitino la mobilità delle truppe – porti, strade, ponti… . Ecco come si arriverebbe al fatidico 5%, di ispirazione trumpiana, da raggiungere nell’arco di tempo massimo di sette anni. Ma per la Casa Bianca Rutte fa anche di più, e formalizza una diversa ripartizione degli oneri finanziari dentro la Nato. Il settimanale tedesco Spiegel ha rivelato il contenuto di una lettera indirizzata agli alleati in cui Rutte propone di riequilibrare il finanziamento bellico: se finora la ripartizione dava il 50% agli Usa e il resto a Canada e paesi europei, si dovrebbe passare a 70% per questi ultimi e 30% per gli americani.
Si tratta per ora di annunci o anticipazioni. Cifre esatte e tempi di realizzazione verranno messi sul tavolo in occasione vertice Nato che si terrà all’Aja dal 24 al 26 giugno. Tutto, comprese le cifre italiane, verrà ufficializzato in quella occasione. All’Aja ogni stato dovrà decidere i suoi incrementi di spesa. Con un occhio al Consiglio europeo, che si riunisce proprio il 26 giugno. Quando le capitali avranno ormai tutti gli elementi per valutare come utilizzare gli strumenti finanziari del piano di riarmo von der Leyen.
* Fonte/autore: Andrea Valdambrini, il manifesto
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