Repubblica Democratica del Congo. Rapina di risorse e colpo di spugna, la società civile si ribella

Prosegue nell’opacità il processo negoziale verso un accordo di pace fra la Repubblica democratica del Congo (Rdc) e il Ruanda, con la mediazione degli Stati uniti
Prosegue nell’opacità il processo negoziale verso un accordo di pace fra la Repubblica democratica del Congo (Rdc) e il Ruanda, con la mediazione degli Stati uniti. Il 2 maggio, a una settimana dalla firma a Washington di una dichiarazione di principi fra le parti, Kinshasa e Kigali avrebbero dovuto trasmettere gli elementi da inserire in un documento preliminare, sulla base di alcuni assi definiti: sovranità territoriale, contrasto ai gruppi armati, commercio dei minerali, ritorno di sfollati e rifugiati, cooperazione regionale, ruolo delle forze internazionali.
La bozza non è stata per ora presentata dalle due capitali. Il pacchetto al quale si lavora comprende, oltre ai termini della pace fra i due paesi (la firma è prevista per giugno), due accordi economici bilaterali con gli Usa: investimenti multimiliardari da parte di aziende statunitensi nelle miniere congolesi e strutture associate; e quanto al Ruanda (sponsor della milizia Afc/M23 che ormai spadroneggia nell’Est della Rdc), sviluppo delle capacità di trattamento, raffinazione e commercializzazione dei minerali estratti nella Rdc che dovrebbero transitare – stavolta in trasparenza – nel paese vicino per esservi trattati e raffinati, e poi esportati verso gli Usa. Un avallo al noto ruolo di triangolazione svolto da Kigali.
MA LA SOCIETÀ CIVILE congolese non sta zitta. In lettere aperte collettive, inviate ad attori internazionali, dichiara di non essere disposta ad accettare, dopo trent’anni di guerra, l’oblio rispetto ai crimini compiuti sulla pelle della popolazione e la svendita delle risorse del paese, se questo fosse il prezzo di un accordo fra Kinshasa e Kigali.
Al presidente della Rdc Félix Tshisekedi si sono rivolti decine di attivisti, docenti, giuristi, ricercatori, medici – fra i quali il premio Nobel per la pace Denis Mukwege. Scrivono: «Dieci milioni di compatrioti sopravvivono oggi nella psicosi della violenza armata e nell’angoscia della carestia sotto il giogo dell’esercito ruandese di occupazione e dei suoi alleati Afc/M23»; un dramma «la cui responsabilità è condivisa tra le velleità espansionistiche dei paesi vicini e il deficit di governance interna».
Da qui l’esortazione al capo dello Stato a «non svendere le risorse naturali al regime di Kigali nell’ambito dell’integrazione economica regionale promossa sotto l’egida del padrino statunitense». Del resto, «accordi o intese che privassero la nazione dei mezzi di sussistenza derivanti in particolare dalle sue ricchezze naturali configurerebbero un reato di saccheggio». Certo, «la pace è l’unico orizzonte», ma le risorse del sottosuolo e del territorio possono contribuirvi solo in un contesto di equità. Per la Costituzione congolese, la sovranità appartiene al popolo. Prima di impegnarsi, Tshisekedi consulti le «forze vive» del paese, Parlamento e società civile.
DAL CANTO SUO, chiede «verità e giustizia», nell’ottica della pace e della riconciliazione in uno Stato di diritto, l’Ufficio di coordinamento della società civile del Sud Kivu, in una lettera all’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani, Volker Türk. Con la presa di Bukavu e altri territori da parte di Afc/M23, «sotto l’occhio impotente del governo congolese», si susseguono omicidi, rapimenti, stupri, furti; impuniti. Molte persone hanno perso il lavoro e ogni minima sicurezza. Gli attivisti, appoggiati dalla Rete italiana Insieme per la pace in Congo, chiedono a Türk di «mandare a Bukavu investigatori provenienti da altri paesi per lavorare in sinergia con noi attori della società civile», come freno agli abusi; e di avviare il percorso verso un Tribunale penale internazionale per la Rdc, oltre a camere miste specializzate presso i tribunali congolesi.
UN RAGGRUPPAMENTO di Ong dell’Est della Rdc ha poi scritto a Donald Trump: «Il popolo congolese sarà legittimamente autorizzato a opporsi con tutti i mezzi, di diritto e di fatto, ad accordi sui minerali che non lo associno direttamente e attraverso i suoi rappresentanti: Parlamento e società civile».
Intanto la diplomazia del business prosegue anche nell’emirato del Qatar, dove si negozia fra Kinshasa e l’M23 e anche fra Kinshasa e Kigali. Altro che «soluzioni africane ai problemi africani».
* Fonte/autore: Marinella Correggia, il manifesto
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