Spese militari. Il riarmo europeo da 800 miliardi ora è legge

Spese militari. Il riarmo europeo da 800 miliardi ora è legge

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Il contestatissimo piano bellico da 800 miliardi, presentato al inizio marzo dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen in forma di regolamento è definitivo, la procedura d’urgenza ha permesso di fare tappa unica in Consiglio

BRUXELLES. Da oggi il riarmo è legge europea, in vigore per tutti i paesi dell’Unione dopo la pubblicazione in gazzetta ufficiale. Un percorso lampo, favorito dalla scelta della Commissione Ue di scavalcare l’Eurocamera, che per questo ha anche annunciato un ricorso alla Corte di giustizia, supremo tribunale dell’Ue. È stata von der Leyen a voler accelerare i tempi. Tra emendamenti e voto in aula l’iter ordinario avrebbe preso sicuramente più tempo, mentre la procedura d’urgenza ha permesso di fare tappa unica in Consiglio. In questa sede i governi europei si sono limitati a discutere i dettagli pur importanti, come la quota di componenti made in Ue per poter accedere ai prestiti, licenziando definitivamente il provvedimento lo scorso martedì.

Il contestatissimo piano bellico da 800 miliardi, presentato al inizio marzo dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen in forma di regolamento, poggia su due gambe. La prima è il Security Action for Europe, ovvero Safe, strumento di prestiti da 150 miliardi di euro. Parliamo di soldi prestati dall’esecutivo Ue con rimborso a lunghissimo termine, ma comunque non a fondo perduto, che andranno richiesti dalle capitali interessate nei prossimi mesi. La seconda è quella, ancor più ipotetica, dell’attivazione della clausola di salvaguardia dei bilanci nazionali, per aumentare la spesa militare in deficit fino all’1,5% del Pil di ogni paese. Un’opzione a cui per adesso si sono detti interessati solo la metà dei paesi, mentre quelli più indebitati, come Italia e Francia, restano a dir poco scettici. Inutile invece per paesi finanziariamente più solidi, come la Germania, che infatti fa da sé, come dimostra il maxi-piano di riarmo messo in campo a Berlino dal cancelliere Merz.

Reali o virtuali che siano, i soldi del piano von der Leyen sono solo una parte del vasto programma di ritorno alle armi. Lontano un accordo su opzioni come gli eurobond per la difesa, che dividono i mediterranei (a favore) dagli austeri nordici (anche se sono sempre meno). Fanno gola però anche i fondi europei, tanto quelli straordinari messi in campo per fronteggiare l’emergenza pandemia che quelli strutturali per le politiche di coesione, che rappresentano circa un terzo dell’intero budget dell’Unione. A Bruxelles, al timone di queste ultime risorse, il vicepresidente della commissione Raffaele Fitto che ieri è tornato sull’argomento parlando dalla Cattolica di Milano, dove ha ribadito la sua spinta per dirottare sul capitolo armato le risorse tradizionalmente destinate e colmare le differenze territoriali: «È una scelta di solidarietà» quella che considera bisognose anche le regioni al confine «finlandese, baltico o polacco» con la Russia, mica solo il sud Italia.

La base ideologica del riarmo arriva però dai più alti vertici Ue. Dalla tedesca Aquisgrana, dove ha ricevuto il premio Carlo Magno, von der Leyen dice che serve «una pax europea», menziona l’aggressione di Putin contro l’Ucraina come «necessità sempre più urgente di investire nella nostra sicurezza». Il cancelliere Merz è lì e approva.

* Fonte/autore: Andrea Valdambrini,  il manifesto



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