Stati Uniti. Colpire l’università di Harvard per educarli tutti

Stati Uniti. Colpire l’università di Harvard per educarli tutti

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La guerra all’università. Si moltiplicano gli atenei che sotto minaccia accettano umiliazioni rituali e denunciano i propri studenti nella vana speranza che il governo desista

La revoca immediata del «privilegio» di iscrivere studenti stranieri è motivata «dall’ostinazione a perpetuare un ambiente non sicuro di ostilità verso gli studenti ebrei, promuovere simpatie pro-Hamas e l’insistenza nell’applicare criteri razzisti di Dei (pari opportunità, ndr)».

Il tono nella lettera della ministra per la sicurezza, Kristi Noem, è da nota del preside che sospende uno scolaro indisciplinato, il sussiego e la minaccia che esprime distilla la repressione del regime – il termine semanticamente corretto per l’amministrazione che alza ulteriormente il tiro sulle università attraverso l’escalation contro l’istituzione simbolo, Harvard.

L’ordine di consegna immediata dei dossier per verificare l’americanismo degli studenti, ha il sapore intenzionale di un editto da commissario ideologico, un’azione calibrata per diffondere il panico, «un messaggio chiaro a tutte le università del paese» come ha detto la stessa Noem in una successiva intervista: colpirne una per educarne cento.

L’assalto frontale agli atenei utilizza il teorema blindato dell’antisemitismo che lo lega al genocidio della Striscia in una metastasi di sopraffazione. Lo stesso pretesto è stato rodato nella repressione del movimento studentesco contro lo sterminio di Gaza come giustificazione di cariche di polizia e sgombri di accampamenti pacifisti producendo episodi come quello che a Ucla ha visto il sit-in violentemente attaccato da picchiatori sionisti rimasti impuniti mentre venivano arrestati 200 studenti.

Modello replicabile per la chiusura sistematica di ogni canale di dissenso – dalle manganellate, alle espulsioni fino al rifiuto di Kamala Harris di dialogare coi rappresentanti del movimento alla Convention di Chicago.

Parallelamente alla repressione sui campus, gli interrogatori-spettacolo di amministratori al Congresso, con gli auspici della lobby israeliana AIpac, successivamente epurati per «fiancheggiamento antisemita», compresa Claudine Gay di Harvard. Quelle inquisizioni, intraprese sotto Biden, sono state il prologo necessario all’apoteosi neomaccartista di Trump.

Molto del dibattito in questa America distopica e crepuscolare verte sulla possibilità di identificare il punto preciso che segni l’entrata in regime post democratico.

Accademici e storici del fascismo come Ruth Ben Ghiat, Jason Stanley e Timothy Snyder (questi ultimi mentre si trasferiscono in Canada) avvertono con allarme che la misura è già colma.

Non è solo che un prigioniero politico come Mahmoud Khalil stia passando il terzo mese in galera senza imputazioni o processo per aver partecipato al movimento studentesco. In queste settimane di laurea, i tribunali sono costretti a intervenire per garantire l’accesso di candidati attenzionati alle cerimonie di diploma, come successo a Mohsen Mahdawi alla Columbia. Altrove atenei applicano la privazione del titolo per punire parole non autorizzate come accaduto a Logan Rozos, cui la Nyu ha “revocato” la laurea per aver parlato di Palestina alla cerimonia.

Si moltiplicano gli atenei che sotto minaccia (ad esempio di ispezioni fiscali), accettano umiliazioni rituali e denunciano i propri studenti nella vana speranza che l’adempienza convinca il governo a desistere. Ovviamente ogni compromesso non è mai sufficiente ma invita al contrario e al sopruso successivo. Giovedì un nuovo rapporto ministeriale ha decretato “insufficienti” le misure intraprese dalla Columbia per rimediare al «dilagante antisemitismo».

Da qui l’importanza dell’opposizione di Harvard che sta mettendo i suoi 53 miliardi di dotazione a servizio di una battaglia legale contro il governo. E di contro la necessità del regime di schiacciarne la resistenza in maniera esemplare.

L’attacco coordinato alle università non solo ricalca noti precedenti storici ma mostra la disponibilità di un regime intrinsecamente anti intellettuale a sacrificare al disegno egemonico uno dei settori di massimo prestigio del sistema America. Gli studenti stranieri sono un perfetto obbiettivo iniziale, vulnerabili come le altre popolazioni “non cittadine”, ma in definitiva lo scopo è soggiogare le università come centri di dissenso e pensiero non autorizzato.

Ancora una volta il programma è esposto nel Project 2025, uno degli architetti del quale, Chris Rufo, ha dichiarato al New York Times che «l’obiettivo dovrà essere quello di usare i finanziamenti pubblici per indurre negli amministratori universitari un terrore tale da comprendere che se non cambieranno atteggiamento non quadreranno il bilancio».

D’accordo col programma, oltre agli attacchi su Dei, “antisemitismo” e studenti internazionali (per gli atenei sono la principale fonte di introito sotto forma di rette maggiorate) è in corso una sistematica smobilitazione, su pretesti ideologici, del finanziamento dei grant e delle borse che sostengono il lavoro di centinaia di migliaia di ricercatori, docenti, studenti e dottorandi che oggi versano nel caos e nel panico.

* Fonte/autore: Luca Celada, il manifesto

 

 

 

Photo Unicorn Riot
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