Stati Uniti. Le morti sommerse dei migranti

Marie Ange Blaise, haitiana, è morta in Florida in custodia dell’Ice. Non è il primo caso: Maksym Chernyak è sopravvissuto all’invasione russa in Ucraina per morire di infarto in una prigione. Un mese prima era morto Genry Ruiz-Guillen, honduregno di 29 anni
TALAHASSEE. Marie Ange Blaise, una donna haitiana di 44 anni, è morta lo scorso 25 aprile mentre era detenuta in un centro della Immigration and Customs Enforcement (Ice), l’agenzia governativa Usa che si occupa di immigrazione e che risponde direttamente al presidente Donald Trump. La donna, detenuta da ormai 71 giorni, si trovava nel centro di detenzione privato di Deerfield Beach, a nord di Miami, in Florida, con l’accusa di essere immigrata illegalmente negli Usa. Il centro di Deerfield Beach è di proprietà della compagnia privata The Geo Group, che gestisce un centinaio di prigioni in tutto il territorio statunitense (e contro la quale ieri si è manifestato a Newark, compreso il sindaco della città contrario all’istituzione di un loro centro) per un totale di quattro miliardi di dollari, e che si occupa anche di gestire molti centri per conto dell’Ice. Per ora, l’Ice si è rifiutata di rilasciare informazioni sul decesso di Marie Blaise, limitandosi ad affermare che a tutti i detenuti vengono garantite le cure di base quando necessario.
IN QUESTO CASO le cose sembrano essere andate diversamente: secondo la testimonianza di un’altra detenuta, Marie Blaise avrebbe iniziato a lamentare dolori al petto a partire dal primo pomeriggio di venerdì 25 aprile, chiedendo più volte di essere visitata da un medico. A quanto emerge dalle prime ricostruzioni, le sarebbe stata misurata soltanto la pressione, e sarebbero stati riscontrati alti livelli di ipertensione. Gli agenti di custodia avrebbero dunque somministrato un medicinale alla donna e le avrebbero intimato di andare a dormire: dopo alcune ore Marie Blaise si sarebbe svegliata gridando aiuto e lamentando forti dolori al petto, come testimoniato dalle sue compagne di cella, venendo infine dichiarata morta dai paramedici alle 8:35 di sera.
La sua morte e l’evasività con la quale l’Ice sta affrontando la questione hanno scatenato le reazioni delle associazioni per i diritti dei migranti e dei rappresentanti del partito democratico. Secondo Guerline Jozef, direttrice dell’Haitian Bridge Alliance, un gruppo di sostegno ai migranti provenienti dall’isola caraibica, «la morte di Marie Blaise è il risultato di politiche e trattamenti crudeli e disumani nei confronti degli immigrati. Continueremo a lavorare per ottenere risposte dall’amministrazione per conto di coloro che purtroppo si trovano ad essere detenuti, intrappolati senza cure adeguate o un giusto processo. Chiediamo piena trasparenza sulla morte della signora Blaise».
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SUL TEMA è intervenuta anche Sheila Cherfilus-McCormick, democratica di origini haitiane e deputata alla Camera dei Rappresentanti per il distretto di Fort Lauderdale e West Palm Beach. Cherfilus-McCormick è riuscita a ottenere il permesso di entrare nella struttura detentiva per fare luce sulla morte di Marie Blaise, ma si è trovata di fronte un muro di gomma che non le ha permesso di ottenere alcuna informazione. «In verità, dovrebbe essere una semplice conversazione. Avrebbero dovuto dirmi: ‘Questo è il nostro protocollo. Questo è ciò che abbiamo fatto, quindi possiamo rispondere’» ha dichiarato. «Non mi è mai capitato prima in tutta la mia vita di chiedere informazioni sui protocolli operativi e che gli ufficiali di una agenzia si rifiutino di darmeli e diventino ostili».
MARIE BLAISE era stata arrestata il 14 febbraio scorso mentre prendeva un volo per Charlotte, in Nord Carolina, da La Croix, la capitale delle Isole Vergini statunitensi, nei Caraibi, che costituiscono un territorio Usa come Porto Rico e Guam. Blaise è stata portata prima in una prigione di Porto Rico, poi in un centro di detenzione a Oakdale, Louisiana, per poi essere di nuovo trasferita in Florida lo scorso 5 aprile: un’odissea lunga due mesi e mezzo. Inoltre, permangono dei dubbi sulla legittimità stessa dell’arresto di Marie Blaise. Un volo dagli Usa alle Isole Vergini statunitensi è considerato un interno: in questo caso per viaggiare non è necessario alcun documento per l’immigrazione. Come ha dichiarato Guerline Jozef, «stiamo assistendo all’arresto di persone che viaggiano dalle Isole Vergini americane, da Porto Rico, potenzialmente anche dalle Hawaii, e gli agenti non capiscono che queste persone non provengono da un altro Paese e non dovrebbero essere segnalate come persone che entrano illegalmente o meno negli Stati uniti, in quanto vi si trovano già».
QUELLO di Marie Blaise non è peraltro un caso isolato. A partire dallo scorso gennaio le persone morte in un centro di detenzione dell’Ice in Florida sono state almeno tre. Il 20 febbraio Maksym Chernyak, ucraino di 44 anni, ha avuto un infarto in un centro di Miami-Dade, ed è morto dopo che gli agenti di custodia avevano aspettato quasi un’ora prima di chiamare i soccorsi. L’uomo, che era riuscito a sopravvivere alla invasione russa dell’Ucraina, aveva aiutato a mettere in salvo alcuni gruppi di donne e bambini a Kiev e infine era riuscito a fuggire alla guerra attraversando il confine con la Polonia.
Circa un mese prima, a gennaio, Genry Ruiz-Guillen, honduregno di 29 anni, è deceduto ufficialmente – secondo i documenti dell’Ice – per «complicazioni di un disturbo schizoaffettivo», una spiegazione giudicata insufficiente dal medico che ha effettuato l’autopsia. Come ha dichiarato Michael Baden, medico legale responsabile anche dell’autopsia sul corpo di George Floyd, «la diagnosi diffusa dall’Ice non risponde alla domanda su come sia morto. In questo caso quello che ho riscontrato nell’autopsia è la presenza di troppi medicinali nel sistema», che sarebbero stati la causa del decesso del giovane.
* Fonte/autore: Davide Longo, il manifesto
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