Sullo stermino a Gaza l’Europa batte un timido colpo, ma l’Italia rimane con Netanyahu

Sullo stermino a Gaza l’Europa batte un timido colpo, ma l’Italia rimane con Netanyahu

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Accordo di partenariato con Tel Aviv da rivedere. Kaja Kallas: «È emersa chiaramente una forte maggioranza favorevole a una revisione dell’art. 2 del nostro accordo di associazione con Israele. Avvieremo questo processo»

BRUXELLES. È una «forte maggioranza» quella che ha sostenuto la revisione dell’accordo di partenariato Ue-Israele e con esso «la necessità immediata di cessate il fuoco e permettere gli aiuti umanitari a Gaza», ha dichiarato a fine giornata l’alto rappresentante per la politica estera Kaja Kallas. Anche se non si è ottenuto il consenso alle sanzioni ai coloni, per il solo no da parte dei Budapest, l’esito del Consiglio Ue di ieri era difficile da immaginare fino a poche settimane fa. Una maggioranza in favore della richiesta di revisione forte del consenso di 17 paesi che vede però (oltre alla neutralità della Lettonia) la contrarietà di altri 9: oltre all’Italia di Giorgia Meloni, hanno votato contro Germania, Ungheria, Croazia, Bulgaria, Cipro, Grecia, Repubblica Ceca e Lituania.

NON ERA FACILE far saltare in un colpo solo la partnership economica e culturale tra i paesi europei e Tel Aviv. Non bastava infatti raggiungere la maggioranza dei 27 stati europei rappresentati in Consiglio Ue. L’ha fatto capire la Commissione quando ha messo subito le mani avanti già alla vigilia della riunione tra i ministri degli Esteri: «Qualsiasi decisione sull’accordo deve essere presa dall’esecutivo», ha precisato la portavoce di Von der Leyen. Per questo il gruppo dei paesi proponenti ha rinunciato a chiedere la «sospensione» optando per la «revisione». Una strategia scelta «in modo da raggiungere il più ampio consenso», confida al manifesto una fonte del Consiglio.

Mai prima d’ora la maggioranza dei governi europei aveva appoggiato in modo esplicito la sospensione del trattato che lega Bruxelles e Israele, in vigore dal lontano 2000. La base giuridica per metterlo in crisi è scritta nero su bianco all’interno dell’accordo internazionale. L’articolo 2 prevede infatti il «rispetto dei diritti umani» e dei «principi democratici» quali precondizioni per ogni partenariato. La clausola era stato invocata alcuni mesi fa da Spagna e Irlanda, le più attive, dopo il 7 ottobre, nella condanna della risposta di Israele. Da poco si sono aggiunti i Paesi Bassi, tradizionalmente al fianco di Tel Aviv, in un cambiamento che è stato letto come una svolta. Correttamente. Da lì infatti, l’umore delle capitali europee sembra essere drasticamente cambiato. All’inizio della riunione del Consiglio, convergevano sulla proposta olandese almeno 10 nazioni, comprese Francia e Polonia. Alla fine, si sono aggiunti anche insospettabili come Austria e Slovacchia.

Che l’iniziativa dell’Aja stesse «guadagnando terreno», lo confermava al suo arrivo in Consiglio il capo della diplomazia olandese Caspar Veldkamp.

Dal suo omologo spagnolo Carlos Cuerpo era arrivato un appello per rompere il blocco degli aiuti umanitari a Gaza usando la massima pressione diplomatica possibile, incluse le sanzioni. E per sanzioni contro i ministri israeliani per il trattamento dei civili nella Striscia, in Consiglio si spende anche Stoccolma.

NELLE STESSE ORE, A MADRID il parlamento spagnolo ha votato l’avvio dell’iter legislativo per imporre l’embargo delle armi a Israele. Promosso da una rete di organizzazioni, il provvedimento è sostenuto dalla sinistra di Psoe, Sumar e Podemos. E ottiene il via libera degli indipendentisti di Junts per Catalunya, senza il cui consenso non sarebbe passato.

Sanzioni mirate se non vengono interrotti gli attacchi a Gaza e in Cisgiordania erano state evocate nella dichiarazione congiunta di paesi sempre a dir poco prudenti verso Israele come Francia, Regno Unito e Canada. Lunedì i leader dei tre paesi avevano provocato la reazione stizzita di Netanyahu per la loro condanna verso l’intensificazione delle operazioni militari nella Striscia e il favore al riconoscimento dello stato palestinese. Londra però non aspetta: è di ieri l’annuncio dello stop ai negoziati di libero scambio con Israele.

ALTRO PASSO SIGNIFICATIVO è lo stanziamento da parte di Bruxelles di 82 milioni di euro in aiuti umanitari destinati a Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i rifugiati palestinesi, già presa di mira da Israele perché accusata di complicità con Hamas.

Proprio ieri mattina la commissaria Ue al Mediterraneo Dubravka Suica aveva incontrato il segretario generale dell’agenzia Onu, Philippe Lazzarini, che ha lanciato un appello a Trump per fermare Netanyahu. In Consiglio Ue si è perfino sbloccata la nomina del rappresentante la pace in Medio Oriente. La scelta è caduta su Christophe Bigot, diplomatico francese di lungo corso. Sulla carta il suo compito è quello di favorire la soluzione “due popoli due stati”, a cui Bruxelles rimane ancorata. Ma perfino su una figura così, difficilmente decisiva, molti governi avevano preferito per molto tempo non decidere.

Tutti segni che per le cancellerie europee il clima è cambiato. Oggi, infine, tocca al Parlamento europeo. Sarà il primo dibattito su Gaza dal piano d’invasione israeliano.

* Fonte/autore: Andrea Valdambrini , il manifesto



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