Washington, uccisi due funzionari israeliani

Il responsabile, Elias Rodriguez, si consegna alla polizia: «L’ho fatto per Gaza». Nel manifesto politico, armi come forma di protesta
NEW YORK. Si chiamavano Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, entrambi 28enni, i due impiegati del dipartimento politico dell’ambasciata di Israele a Washington uccisi verso le 21 di mercoledì sera, mentre lasciavano un evento che si era svolto al Capital Jewish Museum.
A sparare è stato il trentenne Elias Rodriguez, di Chicago. Dopo aver aperto il fuoco, è entrato nel museo e si è mischiato alla folla che si era formata, fingendo di essere un passante che aveva assistito a quanto accaduto e per quasi un quarto d’ora ha atteso l’arrivo della polizia. Al suo arrivo, Rodriguez si è assunto la responsabilità del doppio omicidio: «L’ho fatto io, l’ho fatto per Gaza. Palestina libera!». Ha poi detto alle autorità dove aveva gettato l’arma, che è stata recuperata. Quando è stato portato via in manette ha scandito più volte «Free, free Palestine».
QUANDO LA NOTIZIA dell’attentato si è diffusa, la reazione immediata dell’amministrazione Trump è stata imputare le azioni di Rodriguez al crimine d’odio e all’antisemitismo. «Questi terribili omicidi a Washington, ovviamente motivati dall’antisemitismo, devono fermarsi ora – ha scritto Trump sui suoi canali social – L’odio e il radicalismo non hanno posto negli Stati uniti». Gli ha fatto immediatamente eco il segretario di Stato Marco Rubio, su X: «Questo è stato un atto spudorato di violenza vigliacca e antisemita. Non sbagliatevi: troveremo i responsabili e li consegneremo alla giustizia».
Mentre Rubio scriveva non c’era in realtà già più nessun bisogno di ingaggiare una caccia all’uomo: il sospetto era già stato arrestato dalla polizia a cui si è di fatto consegnato immediatamente dopo i fatti.
DURANTE la notte Rodriguez è stato interrogato dalla polizia di Washington e dal team Joint Terrorism Task Forces dell’Fbi. Dopo l’interrogatorio il vicedirettore dell’Fbi Don Bongino, in un post su X, ha dichiarato che «i primi segnali indicano che si tratta di un atto di violenza mirata».
Poche ore dopo, riporta il New York Times, diversi agenti dell’Fbi sono entrati nel palazzo e nell’appartamento dove abitava Rodriguez, ad Albany Park, uno dei quartieri etnicamente più eterogenei di Chicago, dove tradizionalmente vivevano per lo più famiglie ebree e che ora ha una delle percentuali più alte di residenti nati all’estero di qualsiasi altro quartiere della città.
Nelle sue scuole pubbliche si parlano più di 40 lingue diverse.
SULLA FINESTRA dell’appartamento le autorità hanno trovato due poster: uno con la scritta «Giustizia per Wadea», in riferimento al bambino di sei anni americano palestinese ucciso a Chicago due anni fa, e sull’altro «Tikkun Olam (curare il mondo, in ebraico) significa Palestina libera».
Non un caso eccezionale in quel quartiere, come sottolinea al Chicago Sin Times John Wayne Fry, 71 anni, che vive nell’appartamento accanto a quello di Rodriguez. Fry ha detto ai giornalisti di avere lui stesso un cartello per la libertà della Palestina esposto su una delle sue finestre e che Rodriguez era sempre stato «tranquillo e amichevole» durante le loro limitate interazioni.
MA PIÙ DI TUTTO a gettare luce su questa vicenda è un manifesto pubblicato online circa un’ora dopo la sparatoria di mercoledì sera da un account X che sembra appartenere a Rodriguez. Il documento, intitolato «Escalate For Gaza, Bring The War Home» (intensificare le azioni per Gaza, portare la guerra a casa) accusa Israele di genocidio ed esprime rabbia per le «atrocità commesse dagli israeliani contro la Palestina». Fa riferimento all’«azione armata» come una valida forma di protesta, che è «l’unica cosa sensata da fare». Il messaggio si conclude con «Liberate la Palestina – Elias Rodriguez».
SECONDO BONGINO, Rodriguez si sarebbe concentrato sull’evento, non su persone specifiche, prima di recarsi al museo. Tutto questo porta a pensare a una motivazione politica, e non ad un’azione dettata dall’antisemitismo di cui nel manifesto non c’è traccia, e al passaggio a un altro approccio di opposizione negli Stati uniti in risposta alla repressione di Trump del dissenso espresso dal movimento ProPal.
GIÀ DALL’ELEZIONE di Trump sembrava probabile che il tycoon avrebbe alzato il livello di scontro istituzionale e che questo avrebbe conseguenzialmente alzato il livello della risposta, provocando un fenomeno come quello del Weather Underground, organizzazione attiva negli anni ’60 e ’70, fondata nel campus dell’Università del Michigan a Ann Arbor, che ha compiuto diverse azioni terroristiche dopo aver dichiarato «guerra all’imperialismo e agli Stati uniti».
* Fonte/autore: Marina Catucci , il manifesto
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