Freedom Flotilla. Gli attivisti della Madleen verso la deportazione

Freedom Flotilla. Gli attivisti della Madleen verso la deportazione

Loading

Dei dodici membri della Madleen in una galera israeliana fino a ieri ne rimanevano otto, dopo 19 ore di totale blackout informativo e una notte trascorsa nel carcere di Ramleh, gli altri quattro sono già stati espulsi

La Madleen è ancorata al porto di Ashdod, la città fondata dal neonato Stato di Israele otto anni dopo la Nakba a una manciata di chilometri dalla cittadina palestinese di Isdud, svuotata dei suoi abitanti palestinesi e di tre millenni di storia dalle milizie paramilitari sioniste. Non c’è angolo della Palestina mandataria che non racconti una storia. La stessa storia che la Flotilla prova a narrare sfidando l’assedio ormai ventennale imposto da Tel Aviv alla Striscia di Gaza.

PER QUESTO IERI le tante e i tanti attivisti della campagna, sparsi per il mondo, insistevano a dire che il viaggio della Freedom Flotilla non si ferma. «La Madleen è stata fermata in mare, ma il suo messaggio viaggio oltre – scrive in un op-ed su al Jazeera Yara Hawari, co-direttrice del think tank palestinese Al-Shabaka – Il blocco non è invisibile, né lo sarà per sempre. Ogni imbarcazione intercettata, ogni attivista detenuto riafferma che Gaza non è dimenticata e fino al ripristino della libertà e all’ottenimento della giustizia il mare rimarrà una linea del fronte nella battaglia per la liberazione palestinese».

Dei dodici membri della Madleen in una galera israeliana fino a ieri ne rimanevano otto, dopo 19 ore di totale blackout informativo e una notte trascorsa nel carcere di Ramleh (anche per questo, la coalizione della Flotilla aveva suggerito al gruppo di dividersi: una parte avrebbe accettato subito la deportazione – contestando però la cattura e il blocco di Gaza – per poter dare notizia delle condizioni degli altri, un’altra avrebbe sfidato l’arresto in tribunale). Così ieri mattina dall’aeroporto di Tel Aviv sono stati espulsi i primi quattro attivisti dell’equipaggio della Madleen, catturata in acque internazionali dalla marina israeliana nella notte tra domenica e lunedì. Tra loro la svedese Greta Thunberg, tra le più prese di mira dalla stampa e dalla politica israeliane.

Ha fatto scalo a Parigi prima di volare a Stoccolma ed è all’aeroporto De Gaulle che ha rilasciato le prime dichiarazioni ai giornalisti presenti: Tel Aviv, ha detto «ci ha rapito in acque internazionali e ci ha portato contro la nostra volontà in Israele…Ma questa non è la vera storia: la vera storia è che c’è un genocidio in corso a Gaza e un affamamento sistematico che segue all’assedio e al blocco». «(Il sequestro della Flotilla) – ha aggiunto – è l’ennesima violazione di diritti che si aggiunge alla lista senza fine delle violazioni commesse da Israele».

NELLE STESSE ORE si svolgeva l’udienza degli otto membri dell’equipaggio che si sono rifiutati di firmare l’ordine di deportazione, tra loro l’europarlamentare francese-palestinese Rima Hassan (primo caso in assoluto di una deputata europea incarcerata in un paese terzo). Secondo quanto riportato da Adalah, l’associazione legale israelo-palestinese che difende la Madleen, gli otto attivisti sono stati trasferiti dal carcere di Ramleh a quello di Givon dove avrebbero contestato il fermo e l’accusa di «immigrazione non autorizzata». In territorio israeliano ci sono stati portati con la forza, dopo l’assalto a cento miglia nautiche dalle coste palestinesi.

«L’UDIENZA è durata cinque ore – racconta in serata al manifesto l’avvocata Hadeel Abu Salih, presente in aula – Ognuno di loro è stato audito da solo e ha contestato la cattura e l’arresto arbitrario: è Israele ad averli condotti qui. Noi legali abbiamo chiesto il rilascio immediato e presentato i nostri argomenti contro la fame a Gaza e l’assedio della Striscia». Israele, aggiunge Adalah, «manca di giurisdizione: ha preso la barca in acque internazionali e l’ha trasportata in territorio israeliano contro la loro volontà. Lo Stato non ha alcuna autorità in merito alla loro detenzione o deportazione».

Due le opzioni: la liberazione o la deportazione con un divieto di ingresso di cento anni (sic). «La richiesta di rilascio non sarà accordata – prevedeva ieri sera Abu Salih – Saranno deportati. Secondo la legge israeliana, possono essere tenuti in custodia fino a 72 ore dall’udienza. Uno degli attivisti ha già fatto sapere che rifiuterà la deportazione, preferisce rimanere in carcere».

DURANTE L’UDIENZA, fa sapere Adalah, Thiago Avila – uno dei membri della Madleen – ha detto di aver iniziato lo sciopero della fame. «Sono molto stanchi ma stanno bene – ha aggiunto Abu Salih – Sono rimasti in mare molte ore, la marina li ha condotti ad Ashdod solo nella serata di lunedì per evitare giornalisti e presidi di solidarietà. Hanno passato la notte nella prigione di Ramleh, separati dagli altri prigionieri. Hanno detto che i letti avevano le pulci e non c’era acqua potabile. Quando abbiamo chiesto alla corte di potergliela portare, il permesso ci è stato negato».

Non è dato sapere il destino degli aiuti a bordo, cibo e latte in polvere. Il ministero della difesa israeliano ha assicurato che sarebbe stati consegnati alla fondazione israelo-statunitense Ghf, senza fare alcuna menzione del meccanismo che utilizza, ovvero la volontaria creazione di caos e di morte: nessuna distribuzione reale, i pacchi – quando i centri sono aperti – abbandonati a terra a una feroce e disperata competizione, gli spari dell’esercito israeliano contro la folla.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto



Related Articles

Germania. Monta il caso del «Patto del Leopardo» con Erdogan

Loading

Inchiesta giornalistica sui retroscena della liberazione di Deniz Yücel. L’ipotesi di uno scambio tra Diritti umani e tecnologia militare per i tank turchi impiegati in Siria

Se i buoni violano i diritti umani

Loading

Il detto popolare che anche il più pulito ha la rogna è greve ma rende l’idea. «Elementi armati dell’opposizione» siriana hanno compiuto violazioni dei diritti umani – rapimenti, arresti, torture a morte, esecuzioni sommarie – contro membri dei servizi dell’esercito e delle sicurezza, delle milizie Shabiha filo-Assad, di semplici sostenitori del regime siriano.

Condannata per un caso di razzismo la banca nata per gli extracomunitari

Loading

Condannata per un caso di razzismo la banca nata per gli extracomunitari

Il caso riguarda un dipendente di Extrabanca che si era candidato alle Comunali nella lista per Pisapia. Era stato insultato per il colore della pelle dal presidente

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment