Gaza. La grammatica coloniale e lo specchio oscuro della storia occidentale

Gaza. La grammatica coloniale e lo specchio oscuro della storia occidentale

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Esercitando il diritto all’autodifesa contro chi sta colonizzando – stranamente, ai colonizzati non è permesso usare questo linguaggio, sono semplicemente «terroristi» – Israele svela tutto

Di fronte alle atrocità commesse a Gaza, l’Occidente si ritrova bloccato nello specchio oscuro della propria storia. Confrontato con le prove del colonialismo, dell’apartheid, della pulizia etnica, dei campi di concentramento e del disprezzo razzista per la vita altrui, si trova a fare i conti con la propria grammatica storica. Affrontare il massacro dei palestinesi da parte di Israele significa, in ultima analisi, affrontare gli orrori della nostra stessa formazione politica e storica.

ESERCITANDO il diritto all’autodifesa contro chi sta colonizzando – stranamente, ai colonizzati non è permesso usare questo linguaggio, sono semplicemente «terroristi» – Israele svela tutto. Rappresentando l’«unica democrazia in Medio Oriente» che sta combattendo una guerra contro barbari e animali, lo Stato ebraico ci trascina tra le rovine di Gaza per chiederci come siamo arrivati a un tale abisso atroce.

La risposta è ovviamente il colonialismo. L’esercizio del diritto occidentale a rivendicare e conquistare il mondo è una realtà storica innegabile. È inscritto nel linguaggio stesso che i governi e i media europei continuano a utilizzare per affrontare il genocidio a Gaza e la violenza quotidiana in Cisgiordania. Strutturalmente dipendente dalla razzializzazione del pianeta per «giustificare» il proprio esercizio, tale linguaggio rivela brutalmente che alcune vite (quelle dei bianchi e degli occidentali) contano molto più di altre. Alcuni hanno il diritto di essere nominati e pianti, altri rimangono anonimi mentre i loro cadaveri si accumulano nell’ombra dei «danni collaterali». Storicamente, per decidere chi deve essere riconosciuto e chi deve essere schiavizzato, venduto, espulso o sterminato, è sempre stata necessaria la disumanizzazione e l’imposizione di un ordine razziale sull’umanità.

Eppure il concetto di colonialismo non viene mai utilizzato nel discorso pubblico o nel dibattito politico. Si tratta di una storia troppo dirompente in cui Netanyahu e Hamas sono soltanto dei sintomi, non delle cause.

I sionisti che un secolo fa arrivarono in Palestina per colonizzarla – questo era anche il termine da loro usato, ma all’epoca il colonialismo e il fardello dell’uomo bianco di portare la civiltà nel mondo erano altamente rispettabili e moderni – erano bianchi e occidentali. Gli altri ebrei che avevano vissuto per secoli in Palestina e nel mondo islamico – dal Marocco all’Iraq – erano considerati dai nuovi arrivati come tracce indesiderate di un mondo premoderno.

QUESTI EBREI MIZRAHI furono costretti ad abbandonare il loro dialetto giudaico-arabo e ogni legame con il mondo “orientale”. Le idee di progresso, modernità, stato-nazione, sionismo e supremazia bianca si intrecciano qui in modo inquietante in quello che Cedric Robinson definirebbe capitalismo razziale.

Le conseguenze sono il terrore razziale, il genocidio, la pulizia etnica, lo sterminio e l’ossessione della superiorità razziale basata sulla purezza e sulle linee di sangue: dalla conquista dell’ultimo regno arabo di Granada nel 1492, alla deliberata cancellazione di culture, storie e vite umane in mappe astratte disegnate nella spartizione imperiale dell’Africa da parte delle potenze europee nel 1884-5 a Berlino, fino ai fanatici ebrei di Brooklyn di oggi che trasformano la valle del Giordano nella frontiera senza legge di uno stato etnico-religioso. Siamo ancora a portata d’orecchio del morente Kurtz alla fine di Cuore di tenebra: «Sterminate tutti i bruti».

La difficoltà che l’Occidente ha nel riconoscere i palestinesi come esseri umani meritevoli della nostra empatia e del nostro sostegno emerge da questa lunga notte coloniale.

Forse raccontare questa storia nell’osceno dramma di Gaza è troppo per un Occidente che per secoli strutturalmente dipendeva da questi rapporti crudelmente ingiusti. Ciò richiederebbe la demolizione della nostra casa, costruita sul colonialismo e sul razzismo e sigillata dalla supremazia bianca, e la costruzione di un’altra guidata da un umanesimo commisurato al mondo e non esclusivamente all’Occidente.

IN QUESTO CUORE di tenebra, il genocidio di Gaza e il terrorismo dello stato di Israele ci riguardano da vicino.

Senza vergogna né senso di colpa, Israele sfoggia con orgoglio la costituzione coloniale della modernità occidentale. La questione, quindi, non è di natura umanitaria, ma storica e politica. Fermare Israele e annullare le sue intenzioni omicide nei confronti dei palestinesi significa fermare, smantellare e decolonizzare il nostro stesso percorso. Non si tratta semplicemente del riconoscimento politico della nostra responsabilità per le ferite aperte del mondo moderno. Si tratta di un processo pedagogico più profondo, di un apprendimento da Gaza e dai palestinesi. Questo processo è appena iniziato.

* Fonte/autore: Iain Chambers , il manifesto



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