Global March to Gaza, l’Egitto ferma e deporta duecento attivisti

Fermi e perquisizioni, anche negli alberghi. All’aeroporto prese di mira soprattutto le persone arabe. Ma l’organizzazione insiste: «Oggi partiamo lo stesso per al-Arish»
Ad «accogliere» in Egitto le migliaia di attivisti partiti dall’Europa è stata una capitale più militarizzata del solito e una campagna mediatica pesante (riassumibile così: «sono manovrati dai Fratelli musulmani»).
Nel mirino la Global March to Gaza, iniziativa lanciata dalle società civili di decine di paesi con l’obiettivo di mettersi in cammino verso il valico di Rafah, frontiera sud di Gaza, unico pezzo della Striscia a fare da ponte con il mondo esterno ma sigillato da due decenni dall’assedio israeliano. Sette-ottomila persone da 54 paesi, partite nelle ore in cui il ministro della difesa israeliano Katz annunciava l’attesa repressione egiziana.
DA MERCOLEDÌ SERA a ieri mattina le autorità egiziane hanno lanciato una vera e propria caccia all’attivista. «All’aeroporto internazionale del Cairo perquisiscono i bagagli, se trovano bandiere palestinesi o sacchi a pelo, ti deportano», ci racconta Sergio, parte del gruppo di 150 italiani dati in partenza per l’Egitto. A decine sono stati bloccati di fronte all’ufficio visti dello scalo, con i telefoni e i passaporti confiscati, tanti altri circondati e fatti salire con la forza sulle navette per essere rimessi con la forza sui voli diretti in Europa.
E poi, aggiunge Sergio, vanno a cercare le persone negli alberghi. Le immagini girate da alcuni degli attivisti negli hotel della capitale raccontano il resto: bagagli aperti, stanze messe sottosopra e fermi. A essere presi di mira sono stati soprattutto marocchini, algerini e cittadini europei di origine araba: la Global March denuncia casi di interrogatori durati per ore prima della deportazione.
«All’aeroporto gli attivisti arabi sono stati manganellati, erano circa 400, sono stati divisi in stanze diverse, per ore, senza cibo né acqua. E sono stati picchiati», ci racconta Antonella Chiodo, portavoce della delegazione italiana. Circa 150 gli italiani, «sono riusciti a passare quasi tutti – aggiunge Chiodo – Persone normali che hanno sfidato se stesse: sono rimaste chiuse in aeroporto per 10-15 ore, con i telefoni e i passaporti confiscati, ma hanno resistito, non hanno chiesto di essere rimpatriate. Per me il risultato è già stato raggiunto».
In totale, dice il portavoce della Marcia Saif Abu Keshek, sarebbero circa duecento gli attivisti «detenuti all’aeroporto o fermati negli hotel» da agenti in borghese. Molti altri sono riusciti a entrare nel paese anche grazie all’aiuto di avvocate e avvocati egiziani. L’organizzazione dell’iniziativa globale parla di «vasta campagna di deportazione contro chiunque giunga all’aeroporto del Cairo».
POI, NEL POMERIGGIO la situazione è parsa migliorare, dice Chiodo: «Il programma di domani (oggi, ndr) rimane invariato: ogni delegazione ha un suo punto di ritrovo, saliremo sugli autobus diretti ad al-Arish», la cittadina sul Mediterraneo, nel Sinai, punto di partenza della marcia a piedi verso Rafah. Una regione militarizzata e marginalizzata dal regime di al-Sisi da ormai dieci anni, per questo la Farnesina avverte del divieto egiziano a passare. La Global March però insiste: nessuno intende sfidare le autorità egiziane, l’iniziativa è pacifica, l’obiettivo condiviso. Vero è, aggiunge l’organizzazione, che «alle cinquanta legittime richieste (mosse al Cairo), non c’è stata alcuna risposta».
Nelle stesse ore proseguiva l’altra marcia, Sumud, il convoglio di algerini, tunisini, mauritani, marocchini partito nei giorni scorsi con pullman e auto verso l’Egitto: ieri pomeriggio aveva raggiunto la città libica di Misurata. Il timore, più che fondato, è un blocco al confine.
* Fonte/autore: Chiara Cruciati, il manifesto
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