Gradisca, in un video l’orrore dei Centri per i rimpatri dei migranti

Gradisca, in un video l’orrore dei Centri per i rimpatri dei migranti

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Violenza nei CPR «È un pestaggio». Ma la questura nega

Si vede un ragazzo in mutande, che corre nel buio, tra le sbarre del Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Gradisca. È inseguito dagli agenti: caschi, scudi e manganelli che colpiscono il cittadino straniero, in un angolo. In un altro video il ragazzo è a terra, con il volto coperto di sangue, pare privo di sensi. Le immagini sono state pubblicate il 6 giugno dalla rete No ai Cpr. La stessa che il giorno precedente aveva mostrato una protesta nella struttura scrivendo: «Alle problematiche dei piccoli e grandi orrori di questo luogo si è aggiunta la diffusione tra i detenuti di macchie rosse fortemente pruriginose. Ma nessuno ascolta. L’unico linguaggio il fuoco. L’unico grido con la possibilità di essere ascoltato e visto dal mondo fuori».

Ieri il video è finito sull’home page del quotidiano La Repubblica facendo esplodere il caso. «Il Cpr di Gradisca è un luogo di tortura, annichilimento e violenza – afferma il deputato di +Europa Riccardo Magi – Andava chiuso, invece questo inferno è il modello che il governo Meloni vuole esportare in Albania». «La risposta alle proteste per le condizioni igieniche non può essere i manganelli. Il governo deve chiarire», dice Angelo Bonelli, di Avs. Per la dem Debora Serracchiani: «Il centro va chiuso per le condizioni di vita e lavoro estreme».

In serata la questura di Gorizia ha negato con un comunicato la ricostruzione dei fatti. «Non c’è stato alcun pestaggio e infatti non esistono prove documentali. L’intervento si è svolto nel rispetto delle procedure», dice. La polizia sarebbe intervenuta, la sera del 5 giugno, per ripristinare l’ordine dopo una rivolta con roghi, fronteggiando «azioni coordinate di disturbo». In quest’ottica il primo video mostrerebbe «un soggetto a torso nudo accompagnato nella propria stanza», il secondo un episodio distinto sebbene relativo allo «stesso ospite». Questo sarebbe «caduto accidentalmente» riportando una lesione di 2 cm al capo.

Per tale ragione si sarebbe poi fatto medicare.

L’episodio è solo uno dei tanti tasselli del mosaico di orrore quotidiano che si vive nei dieci centri di detenzione amministrativa attivi sul territorio nazionale, a cui si aggiunge quello di Gjader. Basta scorrere la pagina Instagram di No ai Cpr. Il 3 giugno racconta la storia di un ragazzo di 20 anni che denuncia di essere stato picchiato dalle forze dell’ordine a Roma e poi rinchiuso nel Cpr di Bari. Qui tra cadute e nuove violenze che avrebbe subito si è ritrovato con «quattro arti fuori uso» e senza nemmeno le stampelle. Un video pubblicato due giorni prima mostra invece un uomo con una gamba rotta, sedato, privo di sensi. È stato girato nel Cpr di Gradisca. Andando a ritroso la collezione di violazioni si arricchisce, tra persone punite per aver reclamato diritti e dignità, migranti in preda all’abuso di psicofarmaci e Sos lanciati dai Cpr di Trapani, Torino, Milano.

Sabato scorso sul sito del manifesto abbiamo pubblicato un appello rivolto alla Federazione nazionale degli ordini dei medici e chirurghi (Fnomceo) sulle problematiche sanitarie della detenzione nel Cpr. Lo sottoscrivono Vittorio Agnoletto (direttivo nazionale Medicina democratica), Cristina Cattaneo (professoressa di medicina legale all’università di Milano), Gavino Maciocco (professore di igiene e sanità pubblica all’università di Firenze), Monica Minardi (presidente di Msf Italia), Chiara Montaldo (responsabile unità medica di Msf Italia). Oltre a invocare la chiusura dei Cpr, i firmatari chiedono che nessun professionista della salute fornisca o sia costretto a fornire «le proprie prestazioni professionali in tali luoghi funzionalmente alla loro operatività». La questione principale è l’idoneità alla reclusione richiesta ai medici dalle autorità di polizia per avviare o prolungare la detenzione. «Sono luoghi patogeni e psicopatogeni», dice l’appello. Nessuno dovrebbe essere rinchiuso là dentro.

* Fonte/autore: il manifesto



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