Guerra all’Iran, mai tante bombe su Teheran

Il giorno dopo i mega ordigni di Trump sulla preda ufficiale, i siti nucleari, Israele spara su università, tv nazionale e prigione di Evin
Come ghiaccio sotto il sole, i fatti si dissolvono rapidamente in un vortice di menzogne ed esagerazioni, alimentando uno dei conflitti più esposti e mediaticamente manipolati, in cui la megalomania del presidente americano non riesce a limitarsi al ruolo di semplice mediatore. Ieri l’Iran ha preso di mira la base aerea di Al Udeid, senza causare vittime, in ritorsione all’attacco americano avvenuto all’alba di domenica contro i siti nucleari iraniani di Fordow, Isfahan e Natanz. Al Udeid, circa 30 chilometri a sud-ovest di Doha, è una delle basi militari statunitensi più strategiche del Medio Oriente. Può ospitare fino a 10mila militari e funge da quartier generale avanzato del Comando Centrale Usa (Centcom).
Inizialmente si pensava che la base aerea statunitense di Ain al-Asad, in Iraq, potesse essere l’obiettivo dei missili iraniani: aveva attivato il proprio sistema di difesa aerea per timore di un possibile attacco.
IN UN COMUNICATO ufficiale, il Consiglio Supremo iraniano ha confermato l’attacco e ha sottolineato che il numero di missili lanciati corrisponde a quello delle bombe utilizzate dagli Stati uniti. Il bersaglio scelto, si precisa, era distante da aree civili e residenziali, al fine di evitare danni collaterali sul territorio qatarino. Teheran ribadisce che l’azione non rappresenta alcuna minaccia per il Qatar, definito «paese amico e fratello», e riafferma la volontà di mantenere relazioni positive con Doha.
Non è ancora chiaro se l’attacco sia stato concordato o tacitamente tollerato dalle autorità qatarine e americane, come sostengono alcuni osservatori. Prima dell’attacco di ieri sera, si ipotizzava che l’Iran potesse ricorrere a un blocco selettivo dello Stretto di Hormuz, snodo strategico per il traffico petrolifero mondiale. Il parlamento iraniano ha già approvato misure in tal senso, con l’intento di colpire l’Occidente senza compromettere i rapporti con gli alleati asiatici, come la Cina.
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CIÒ È AVVENUTO dopo che Trump aveva rivendicato la distruzione dei siti nucleari iraniani come una vittoria, aprendo un nuovo capitolo in Medio Oriente dal futuro imprevedibile. Per la prima volta, dopo l’inizio del suo secondo mandato, una dimostrazione di forza da parte di Trump sembrava aver prodotto un risultato concreto, per quanto incerto e controverso. Paradossalmente, però, va in direzione opposta rispetto alle promesse fatte da Trump in campagna elettorale. Restano ancora l’incertezza e i dubbi sull’effettivo stato del programma nucleare iraniano, mentre gli appelli alla de-escalation svaniscono sotto il fragore di bombe e missili, alimentando i timori di un allargamento del conflitto.
«Ci aspettavamo che gli americani ci attaccassero. Il coinvolgimento del Centcom era un segreto di Pulcinella. Ma il comportamento ingannevole dell’amministrazione americana dimostra che non esiste nemmeno una parvenza di correttezza o dignità. Mentire, ingannare e commettere qualsiasi nefandezza è ormai considerato accettabile, purché sia fatto in nome dell’interesse nazionale», ci dice il professor Radmeher, ex docente dell’Università di Shiraz (per motivi di sicurezza, i nomi degli interlocutori sono stati modificati).
Israele, ieri, ha lanciato un nuovo attacco contro il sito nucleare sotterraneo di Fordow nella provincia di Qom, a sud di Teheran. Secondo fonti militari israeliane, i bombardamenti hanno colpito anche la capitale iraniana, prendendo di mira un centinaio di obiettivi, tra cui un quartier generale dei Guardiani della Rivoluzione e il carcere di Evin, uno dei simboli più noti del sistema repressivo iraniano. Israele ha descritto l’operazione su Teheran come il bombardamento più intenso mai condotto sulla città.
L’AGENZIA iraniana Mizan, legata all’apparato giudiziario, ha confermato che la prigione di Evin è stata effettivamente colpita, riportando danni parziali, ma ha assicurato che la situazione è sotto controllo. Evin è tristemente nota per aver ospitato detenuti politici e cittadini stranieri. Mostafa Tajzadeh, figura di spicco del fronte riformista attualmente detenuto a Evin, ci ha detto al telefono: «I prigionieri politici nel reparto quattro non hanno subito danni. Non abbiamo notizie delle altre sezioni».
Anche Israele è rimasto nel mirino dei missili iraniani tutto il giorno, le sirene antiaeree hanno costretto la popolazione a rifugiarsi nei bunker, mentre l’esercito segnalava almeno tre raffiche di missili lanciati dall’Iran nel giro di meno di due ore. Teheran sembra aver puntato a obiettivi più precisi, tra cui impianti energetici. Nel frattempo Trump, esultando per i «danni monumentali» inflitti ai siti nucleari iraniani, va oltre ipotizzando apertamente un cambiamento di regime a Teheran. «Non è politicamente corretto usare le parole regime change – scrive – ma se l’attuale regime non è in grado di rendere l’Iran di nuovo grande, perché non dovrebbe esserci un cambio di regime?».
«IN REALTÀ stanno facendo di tutto per far sopravvivere il regime. Ok, hanno abbattuto i siti nucleari. Ma allora perché stanno bombardando le città e le infrastrutture civili? – si chiede retoricamente Payman, ingegnere e attivista – Ammettiamo che riescano a distruggere tutte le armi offensive e che il regime non sia più in grado di nuocere a nessun altro paese. E se, per assurdo, la popolazione si sollevasse davvero, chi la difenderebbe da un esercito di militari e paramilitari ancora armati fino ai denti? Bombardando e uccidendo civili serve solo ad alimentare risentimento contro israeliani e americani che, fino a poco tempo fa, non era così diffuso nel nostro paese».
SEMBRA CHE lo sponsor ufficiale di Tel Aviv stia trascinando l’intero Medio Oriente in un tunnel da cui potremmo non trovare via d’uscita. Stavolta la guerra potrebbe essere diversa da tutte quelle che gli Stati uniti hanno combattuto nell’ultimo mezzo secolo. Potrebbero emergere nuovi equilibri. Russia e Cina potrebbero affacciarsi all’orizzonte, entrambe hanno un interesse strategico nella sopravvivenza dell’Iran attuale. La regione sarà teatro di una guerra a somma zero, ciascuna delle parti cercherà di annientare l’altra.
* Fonte/autore: Francesca Luci, il manifesto
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