Iran, Israele bombarda anche il carcere dei dissidenti

Iran, Israele bombarda anche il carcere dei dissidenti

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La voce dei familiari dei prigionieri, preoccupati per la sorte dei loro cari

L’attacco aereo condotto dall’esercito israeliano sul carcere di Evin, simbolo storico della repressione politica nella Repubblica islamica, ha provocato incendi, rivolte interne e la distruzione di strutture sanitarie. Costruito negli anni 70 dal servizio segreto del regime Pahlavi (la Savak), Evin ha visto il suo ruolo repressivo ampliarsi con la Repubblica islamica. Per oltre quarant’anni, migliaia di prigionieri politici, giornalisti, attivisti per i diritti umani e oppositori del regime sono stati detenuti in questa struttura.

Negli anni 80 migliaia di persone sono state condannate a morte in processi sommari. L’apice di questa repressione fu nell’estate del 1988, quando su ordine diretto dell’Ayatollah Khomeini, migliaia di prigionieri politici, già condannati, furono giustiziati in silenzio nelle prigioni di Evin e Gohardasht. Tra loro, decine di prigionieri politici curdi, affiliati ai partiti dell’opposizione come Komala, Pdki, furono giustiziati nonostante avessero già scontato parte della pena.

Tra questi, Farzad Kamangar che è diventato simbolo della resistenza curda e dell’ingiustizia sistemica. Insegnante, poeta e attivista per l’istruzione gratuita, fu arrestato nel 2006 e, dopo mesi di torture nella sezione 209, fu condannato a morte il 9 maggio del 2010 per «inimicizia contro Dio» senza prove concrete. Scrisse lettere struggenti dal carcere, parlando di dignità, lingua madre e speranza. In una di esse dichiarava: «Mi uccidono perché ho insegnato ai bambini del mio popolo. Ma non si può uccidere una parola» Come in altri casi, la sua famiglia non ha mai ricevuto il corpo, né saputo dove sia stato sepolto.

Nel 2022, in piena rivolta «Donna, Vita, Libertà», un vasto incendio colpì Evin. Le autorità parlarono di «incidenti interni», ma testimoni raccontarono di un attacco deliberato da parte delle forze di sicurezza per intimidire i prigionieri. Ma ieri Evin non è stato teatro di un incidente interno: è diventato obiettivo militare diretto. Secondo fonti locali, l’attacco israeliano ha distrutto numerose sezioni del carcere; in particolare, gli edifici amministrativi e giudiziari accanto al Blocco 4, il cancello 360 tra i Blocchi 7 e 8, l’infermeria e le finestre nel settore maschile e il muro della sezione femminile dove sono recluse tra le altre Pakhshan Azizi e Varisha Moradi condannate a morte in quanto oppositrici del regime.

I familiari ieri erano molto preoccupati non riuscendo ad avere notizie dei loro cari. A seguito dell’attacco sono scoppiati incendi nei Blocchi 7 e 8. Alcuni detenuti hanno tentato di fuggire ma le guardie hanno ripreso il controllo.

Il figlio di Abolfazl Ghadiani, noto prigioniero politico, ha scritto su X: «Mio padre ha chiamato da Evin. Tutti i vetri sono in frantumi. L’infermeria è danneggiata. Qualcuno dice che è stato colpito anche il portone principale. Come può la Repubblica islamica tenere in queste condizioni centinaia di prigionieri malati?». Queste parole riflettono il panico tra le famiglie, molte delle quali si sono radunate fuori dal carcere in cerca di notizie.

Ma il carcere di Evin è noto anche per il suo sistema di sorveglianza costante e le tecniche di tortura psicologica. Ex detenuti parlano di isolamento in celle buie, privazione del sonno, minacce sessuali e pressioni sui familiari. Nel 2021, il gruppo hacker «Justice for Ali» ha violato il sistema di videosorveglianza del carcere, diffondendo immagini scioccanti come guardie che picchiano detenuti incoscienti o trascinati a terra.

Oltre a Evin l’attacco israeliano ha preso di mira il quartier generale dei Basij, milizia responsabile della repressione delle proteste, l’intelligence dei Pasdaran (Irgc), la base Sarallah, comando per la sicurezza di Teheran, l’intelligence della polizia (Faraja), le forze di sicurezza della provincia di Teheran (Sepah Seyed al-Shohada) e l’orologio simbolico di piazza Palestina, emblema ideologico del regime perché segna il conto alla rovescia per la «distruzione di Israele».

Israele ha presentato l’attacco come risposta alle provocazioni iraniane e ai recenti lanci missilistici. Il governo iraniano, e alcuni esperti di diritto internazionale, hanno detto che l’attacco israeliano rappresenterebbe una violazione delle Convenzioni di Ginevra visto che si tratta di strutture civili e non militari.

Quel che è certo è che Evin non è solo una prigione ma un simbolo. Un archivio vivente di decenni di torture, esecuzioni, silenzi e resistenza. L’attacco di ieri, 23 giugno 2025, rappresenta una svolta: per la prima volta, il cuore della repressione interna iraniana è stato colpito dall’esterno.

Ma la domanda che resta è: si tratta dell’inizio della fine dei simboli della repressione? O è soltanto l’ennesima crepa in quei vetri che non sono mai riusciti a soffocare le voci?

* Fonte/autore: Maysoon Majidi,  il manifesto



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