Movimenti in piazza contro genocidio e autoritarismo

Il riarmo europeo – sostenuto anche da settori del campo progressista – non rappresenta né sicurezza né autodeterminazione. È una trappola ideologica e politica
Il 21 giugno l’Arci sarà in piazza, con i suoi circoli, le sue reti, le compagne e i compagni di viaggio. Lo faremo con estrema chiarezza, portando quattro «no» che per noi sono anche un impegno, una direzione politica che abbiamo scelto in tempi non sospetti: no alla guerra, no al riarmo europeo, no al genocidio in corso a Gaza, no all’autoritarismo che avanza in Italia, in Europa e nel mondo, come dimostrano anche le drammatiche notizie che arrivano dagli Stati Uniti. Siamo dentro un passaggio storico e drammatico. In Ucraina la guerra continua e non si intravede alcuna soluzione; in Palestina, dopo oltre 75 anni di occupazione e apartheid, Israele sta compiendo un genocidio sotto gli occhi del mondo.
Sempre Israele, con il sostegno di diversi paesi occidentali, ha lanciato un attacco all’Iran, pericolosissimo per una regione già instabile. Intanto, le classi dirigenti occidentali scelgono la corsa agli armamenti, rilanciano l’economia di guerra e restringono gli spazi di democrazia: basti pensare alle scelte dell’Italia e dell’Ungheria in termini di limitazione del dissenso. La debolezza politica europea si avvita sempre più su questa traiettoria: stanca, autoritaria, blindata, militarista.
Di fronte a questo scenario, non c’è neutralità possibile. Per chi come noi si riconosce nella Costituzione nata dalla Resistenza, nella cultura della solidarietà e dell’antifascismo, stare fermi significa arrendersi. Per questo l’Arci ha scelto di contribuire alla costruzione di questo percorso e di esserci, in una piazza larga e plurale, che rifiuta l’idea che le armi siano lo strumento naturale per affrontare i conflitti del mondo e che non ci sia alternativa allo stato di guerra permanente.
Il riarmo europeo – sostenuto anche da settori del campo progressista – non rappresenta né sicurezza né autodeterminazione. È una trappola ideologica e politica. Perché se le risorse vanno ai carri armati e ai missili e non ai territori, ai salari, alla scuola, alla sanità pubblica, allora non si sta costruendo l’Europa, ma si alimenta l’idea nefasta di un’Europa delle nazioni, che ci riporta a tempi bui della nostra storia.
E mentre si taglia il welfare, si rafforzano i dispositivi autoritari. La repressione delle mobilitazioni studentesche e sindacali, le intimidazioni contro il dissenso, le derive securitarie, le dichiarazioni sulla «priorità dell’ordine» che arrivano dal governo e da troppi leader locali sono segnali chiari di un clima politico che va combattuto. Perché la guerra esterna porta sempre con sé una guerra interna: contro i diritti, contro la partecipazione, contro chi non si conforma. Siamo stanchi dell’uso strumentale della parola «sicurezza», che serve solo a mascherare la violenza sistemica di uno Stato che colonizza, espelle, reprime e – nei peggiori casi – uccide.
Dire no alla guerra e al genocidio non è un gesto simbolico: è una posizione di parte, fondata sulla storia dei movimenti per la pace, sull’obiezione di coscienza, sul diritto internazionale, sull’umanità. Non siamo fessi o illusi; rifiutiamo una logica disumana che usa le vittime per giustificare il massacro e chiama «realismo» la barbarie. Lo diciamo da mesi: a Gaza è in corso un genocidio. E chi continua a coprirlo con il silenzio o le ambiguità è complice.
Per tutto questo siamo convintamente parte della manifestazione del 21 giugno. Per noi non è solo un momento di mobilitazione: è un passaggio dentro una prospettiva più ampia. È unire i puntini di un disegno comune, che tiene insieme emergenze diverse ma radici comuni, nella storia dell’Italia e dell’Europa. Crediamo sia necessario ricostruire un fronte largo, conflittuale se servirà ma convergente, che tiene insieme associazioni, sindacati, reti sociali, collettivi, movimenti, amministratori democratici, soggettività politiche. Un fronte capace di opporsi alla deriva antidemocratica e di proporre un’altra idea di società: fondata sulla pace, la giustizia sociale, la dignità, la libertà. Un progetto politico che include, non esclude — ma che pretende chiarezza e rifiuta ambiguità.
Questa è la sfida che lanciamo da Roma, il 21 giugno. E che rilanceremo già dal giorno dopo, ovunque, giorno dopo giorno, a partire dai territori, che hanno risposto in modo massiccio alla nostra chiamata. E che oggi sono parte attiva e integrante di questo cammino. Perché la pace non è una parola vuota: è una pratica, un progetto, un’azione collettiva. E fermare il genocidio, fermare le guerre, è oggi la condizione necessaria per salvare anche la nostra già fragile democrazia. Restituendole di nuovo un valore imprescindibile: quello dell’emancipazione.
* Fonte/autore: Walter Massa, il manifesto
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