Stati Uniti. La politica della crudeltà: il «nuovo» confine con il Messico

Il report di otto organizzazioni umanitarie. La cancellazione di Cbp One, la zona militare a El Paso, le separazioni
Una nuova zona militare sta per nascere a El Paso. Sarà pattugliata dalle truppe statunitensi con l’obiettivo di bloccare gli ingressi illegali dal Messico. A inizio maggio il Pentagono ha approvato la creazione di un’area «di difesa nazionale» lunga 85 chilometri e larga 18 metri. Il tratto si estende dalla periferia ovest di El Paso fino alla cittadina di Fort Hancock. Da lì in poi, sarà il deserto a scoraggiare chi tenta di attraversare la frontiera. Si tratta dell’ultima misura voluta da Donald Trump nella sua campagna di repressione contro i migranti.
IL SISTEMA viene definito «crudele» e responsabile di una «sistematica violazione dei diritti umani» nel rapporto Sogni cancellati: i primi impatti dell’amministrazione Trump sulla migrazione redatto da otto organizzazioni umanitarie che operano al confine tra i due paesi e che hanno analizzato cosa è cambiato durante le prime cinque settimane del governo guidato dal tycoon rispetto alle politiche dell’amministrazione Biden. «Le politiche messe in campo da Trump sono mirate a negare l’accesso all’asilo, a militarizzare il confine e ad aumentare in maniera significativa il numero di detenzioni e deportazioni», denunciano le ong. Il tutto condito da una narrazione «xenofoba e discriminatoria».
Tra le misure più significative figura la disattivazione, da febbraio, dell’applicazione Cbp One che permetteva ai migranti di prenotare un appuntamento con la U.S. Customs and Border Protection, la polizia di frontiera che ricade sotto il dipartimento della Sicurezza interna statunitense. Si stima che circa 30mila persone che avevano un appuntamento fissato e oltre 270mila che si erano registrate siano rimaste bloccate in Messico. Durante il governo Biden, tramite l’app venivano gestiti 1.450 appuntamenti giornalieri.
In Texas, gli agenti della Guardia nazionale schierati lungo il confine erano circa 1.500. Con Trump sono diventati oltre 9mila. Con Biden avevano «funzioni di sorveglianza», oggi hanno anche il compito di «costruire barriere fisiche».
ALLA VOCE «detenzione alla frontiera», si legge: con Biden solo gli adulti potevano essere reclusi nei centri della polizia di frontiera, ma erano anche previste misure come la semplice convocazione in tribunale. Con Trump la detenzione è invece «indefinita per tutti gli adulti single» ed è ripresa anche quella familiare. Inoltre, i cittadini venezuelani possono essere detenuti a Guantanamo o in altre basi militari.
Per quanto concerne le espulsioni in Messico di cittadini di paesi terzi, è stato mantenuto l’accordo con il Messico del maggio 2023 che consente la deportazione fino a 30mila cittadini al mese con passaporto di Cuba, Nicaragua, Haiti e Venezuela, mentre per quanto concerne le deportazioni in altri paesi, Biden aveva sospeso gli «accordi di esternalizzazione dell’asilo» con El Salvador, Guatemala e Honduras. Trump ha invece stretto un accordo con il governo di Nayib Bukele per detenere nelle carceri salvadoregne i cittadini venezuelani e ha messo nero su bianco la possibilità di deportare in Guatemala, Panama e Costa Rica tutti i cittadini di paesi terzi, inclusi quelli provenienti da Asia, Africa e Medio Oriente.
A tutto ciò, va aggiunto che Trump ha chiuso i programmi per il ricongiungimento familiare e azzerato gli investimenti – pari a circa 5,2 miliardi di dollari – che il precedente governo aveva stanziato per contrastare le «cause profonde delle migrazioni» in Guatemala, Honduras ed El Salvador.
LA PARTE più dura del rapporto è quella relativa alle testimonianze raccolte dalle ong, in tutto 51, nella regione settentrionale del Messico e in quella meridionale tra il 31 gennaio e il 14 marzo e che documentano «l’impatto umano» delle prime cinque settimane dell’amministrazione Trump sulle persone in mobilità bloccate, espulse o deportate dagli Usa al Messico.
Roxana e María Elena sono due madri single fuggite dal Venezuela. La prima ha una figlia minorenne con una grave epilessia, ha subito abusi nella selva panamense del Darièn e un sequestro a Ciudad Hidalgo, in Chiapas. Aveva una prenotazione tramite Cbp One che è stata cancellata due giorni prima dell’appuntamento ed è rimasta bloccata a Tapachula, al sud del Messico. Stessa sorte per María Elena, che ha subito un attacco da una banda criminale prima in Colombia e poi nel Darièn.
Sofía era invece incinta quando, con la sua famiglia, è partita dal Perù insieme alla sua famiglia. Ha subito un assalto sempre nel Darièn e un tentativo di sequestro alla frontiera tra Guatemala e Messico. Aveva anche lei un appuntamento per chiedere asilo. Appuntamento saltato.
Mario è invece fuggito dall’Honduras insieme ai suoi quattro figli dopo la morte della moglie e le successive minacce subite dalle maras, le bande criminali di origine statunitense che imperversano nell’America Centrale. Ha avviato una richiesta di asilo tramite la Commissione messicana di assistenza ai rifugiati (Comar) ma la chiusura dell’app Cbp lo ha lasciato nel limbo.
Simbolica è poi la storia di Luis, padre di famiglia guatemalteco che lavorava, senza documenti, da 16 anni negli Stati uniti. Fermato e incarcerato, in tribunale è stato messo davanti a una scelta: restare in prigione per diversi anni o essere spedito a Tapachula, al sud del Messico. Ha optato per la deportazione.
* Fonte/autore: il manifesto
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