Stati Uniti. La repressione degli studenti solidali con Gaza era già scritta nel Project Esther

Stati Uniti. La repressione degli studenti solidali con Gaza era già scritta nel Project Esther

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Il piano della Heritage Foundation per equiparare all’antisemitismo ogni protesta

Los Angeles. Lo scorso 30 aprile poliziotti in assetto anti sommossa hanno fatto irruzione nel cortile della casa dello studente sul campus dell’Università della California a Los Angeles. Armi impugnate e visori abbassati hanno sequestrato «l’attrezzatura abusiva» allestita dagli studenti: un lenzuolo steso fra due pali su quale si stava proiettando di un film, The Encampments. Quel documentario ripercorre gli eventi del 30 aprile 2024, quando sullo stesso ateneo l’accampamento di solidarietà con Gaza veniva violentemente attaccato da picchiatori simpatizzanti con il governo israeliano. Dopo aver assistito senza intervenire, la polizia caricò allora gli studenti effettuando oltre 200 arresti (nessuno fra i provocatori esterni). Secondo l’amministrazione la proiezione del film ora costituiva una potenziale «istigazione alla violenza» che rendeva necessario il sequestro del materiale audiovisivo «non autorizzato».

L’EPISODIO conferma il new normal dopo un anno e mezzo di repressione del movimento studentesco nato sui campus americani contro lo sterminio di Gaza. La «tolleranza zero» di ogni forma di dissenso ha assunto il carattere di una persecuzione neo maccartista in cui ogni protesta è denunciata come «antisemita» con una foga che ricalca quella con cui negli anni 50 si dava la caccia alla «minaccia rossa».

Il teorema che fa dei carnefici di Gaza le vittime di un complotto globale è stato impiegato un po’ ovunque. Recentemente un’inchiesta del New York Times ha rivelato come questa strategia sia stata delineata già alla fine del 2023 in un programma stilato dalla Heritage Society (la stessa fondazione dietro al Project 2025). Project Esther conteneva già un anno mezzo fa un piano programmatico per «smantellare il movimento pro palestinese» sopprimendolo nelle università e in associazioni progressiste.

PREPARATO per contrastare le crescenti contestazioni contro la strage di Gaza, il documento è stato prodotto da un gruppo di conservatori legati principalmente agli ambienti del sionismo cristiano. Il decalogo suggerisce innanzitutto di bollare i critici della rappresaglia israeliana come una «rete di sostegno al terrorismo» in modo da «giustificare licenziamenti, querele, espulsioni, deportazioni l’ostracismo e la generale criminalizzazione» dei critici dello sterminio.

Battezzato in onore della regina biblica che salvò gli Ebrei dallo sterminio persiano, il piano prescrive di equiparare senza mezzi termini ogni critica alla campagna del governo Netanyahu all’antisemitismo. Chiunque fosse contrario alle politiche israeliane avrebbe dovuto essere tacciato di «sostegno ad Hamas». Nelle settimane successive all’attentato del 7 ottobre, osservatori come la Anti Defamation League, avrebbero allargato la definizione di «antisemitismo» all’espressione di slogan favorevoli alla liberazione della Palestina, registrando così «un numero record di atti antisemitici». Nel novero dei presunti apologhi di Hamas vennero inseriti ebrei come George Soros, Bernie Sanders ed il governatore dell’Illinois JB Pritzker oltre ad associazioni pacifiste come Jewish Voices for Peace.

CON METODO ispirato al Cointelpro di J Edgar Hoover (il programma Fbi per la soppressione dei movimento pacifista e Pantere Nere) gli accampamenti studenteschi sono stati sistematicamente qualificati come covi filoterroristi ed antisemiti per giustificare la repressione poliziesca, querele, pressioni su finanziatori universitari e le inquisizioni delle commissioni parlamentari, costate le carriere di numerosi amministratori. Il progetto è stato coordinato con lobby israeliane come la famigerata Aipac e Victoria Coates, coordinatrice delle operazioni Esther per la Heritage Foundation, si è recata spesso in Israele per incontri con esponenti del governo Netanyahu. Inizialmente implementato ancora durante l’amministrazione Biden, Project Esther delineava anche misure più drastiche: la sottrazione di finanziamenti pubblici alle università, la rimozione di docenti «antisemiti», la censura di canali social, il ritiro dei visti agli studenti stranieri, e la loro punizione esemplare, compresa la deportazione sommaria – i passi cioè intrapresi poi dall’amministrazione entrante (diversi autori del progetto erano stati funzionari del primo governo Trump).

LA PROSSIMA FASE prevede la ratifica in Congresso del divieto di boicottaggi anti israeliani e la revoca di agevolazioni fiscali a Ong «filo terroriste» – molte di queste misure sono già inserite nella manovra finanziaria all’esame del Senato. Intanto la nomina ad ambasciatore in Israele del pastore integralista filo-sionista Mike Hucakbee, fautore del «dominio biblico» degli Ebrei su Giudea e Samaria (la Cisgiordania) garantisce la continuata metastasi di violenza e sopraffazione dal movimento dei coloni alla politica Usa (già evidente nell’impiego di picchiatori reduci delle Idf contro le proteste studentesche e nella delazione di un gruppo come Betar che fornisce nominativi di attivisti al dipartimento di Stato.)

Gli eventi delle scorse settimane sul campus Ucla confermano come l’operazione sia ancora operativa a tutti gli effetti e ora allargata ad un attacco a tutto campo alle università, comprese quelle che avevano cercato di imbonire il regime con futili concessioni.

* Fonte/autore: Luca Celada, il manifesto



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