Israele richiama i riservisti ma in centinaia rifiutano di combattere a Gaza

Israele richiama i riservisti ma in centinaia rifiutano di combattere a Gaza

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Ieri l’esercito ha richiamato 60mila israeliani per l’occupazione di Gaza City. 365 soldati rifiutano di obbedire a «ordini illegali», «cinici e pericolosi». A Mawasi strage di bambini in fila per l’acqua

Taniche vuote, una pantofola, pezzi di cartone sparsi e, soprattutto, il sangue che si è mescolato con la sabbia fino a tingerla di rosso scuro. È questo lo scenario che mostra una foto dopo l’ennesimo bombardamento israeliano: tracce mute, oggetti quotidiani trasformati i testimoni di una strage di civili: persone in attesa di rifornirsi d’acqua, bene prezioso e molto scarso a Gaza, come il cibo.

La Protezione civile ha diffuso le immagini dei corpi di cinque dei sette bambini rimasti uccisi mentre facevano la fila ad Attar, nella zona di al-Mawasi, proclamata «sicura» dalle autorità israeliane e diventata, ancora una volta, teatro di un massacro di innocenti. Tra le 11 vittime ci sono tanti minori, non è una sorpresa. A Gaza, anche i più piccoli contribuiscono alla sopravvivenza della famiglia: attendono ore sotto il sole per un po’ d’acqua, percorrono chilometri alla ricerca di cibo. E spesso sono loro a pagare con la vita. Un altro ragazzino è stato ucciso ieri a Zaitun. Secondo il ministero della Salute, altre 13 persone, tra cui tre bambini, sono morte per fame e malnutrizione. Dallo scorso 22 agosto, quando la carestia è stata ufficialmente certificata da organismi internazionali, si contano 83 decessi, 15 dei quali minori.

Sempre ieri un raid ha decimato la famiglia al-Eff, nella zona di Daraj, alla periferia di Gaza City, sotto pesanti bombardamenti e cannoneggiamenti. Tra lunedì e martedì, fonti ufficiali locali parlano di almeno 76 palestinesi uccisi. Tra loro anche il giornalista Rasmi Salem, il 248esimo operatore dell’informazione vittima della guerra.

La guerra, però, consuma anche dall’interno l’esercito israeliano. Il malumore cresce tra i riservisti, richiamati a un nuovo sforzo. Il richiamo scattato ieri riguarda circa 60mila israeliani – altre decine di migliaia saranno coinvolti successivamente – ai quali vengono imposti tre mesi aggiuntivi di servizio, prorogabili. Molti hanno già accumulato centinaia di giorni in uniforme dal 7 ottobre 2023 e le conseguenze della loro assenza dai posti di lavoro si fanno pesanti. Nelle scuole, ad esempio, si registrano centinaia di insegnanti mancanti alla riapertura dell’anno. Ma non dimentichiamo che i bambini e i giovani di Gaza per il terzo anno consecutivo non potranno tornare a scuola o all’università, perché le aule non esistono più e migliaia di loro insegnanti e compagni sono stati uccisi dalle bombe.

Secondo Haaretz, le forze armate stanno monitorando uno a uno i riservisti per contenere le defezioni. Non pochi hanno risposto al richiamo con certificati medici, richieste di rinvio per motivi familiari o lavorativi. Non si tratta di pacifismo o di un rifiuto della guerra ai palestinesi, ma di stanchezza, frustrazione e scetticismo verso la campagna di Netanyahu per conquistare Gaza City. C’è anche il timore per la sorte degli ostaggi. Da Tel Aviv, ieri, centinaia di riservisti hanno mandato un segnale netto: «non intendiamo più partecipare». «Siamo oltre 365 soldati che rifiutano di obbedire a ordini illegali», ha detto il sergente Max Kresch. Al suo fianco il capitano Ron Feiner, della Brigata Nahal, ha denunciato una decisione «politica, cinica e pericolosa», voluta da un governo «messianico e privo di legittimità». Occupare Gaza City, ha avvertito, significherebbe sacrificare ostaggi, soldati e civili. Alla conferenza stampa erano presenti anche ufficiali di alto rango, come il generale Dor Menachem dell’Unità 411.

Il dissenso si somma a una crisi di fiducia che scuote le istituzioni di difesa. Al centro delle polemiche è finito il capo di stato maggiore Eyal Zamir, criticato dagli esponenti della destra religiosa e del Likud. Il ministro del Patrimonio Amichay Eliyahu lo accusa di frenare l’esercito e ne auspica le dimissioni, mentre il deputato Avichay Buaron lo ha bollato come «politico» e «errore di nomina». Zamir, insieme al direttore del Mossad e al capo dello Shin Bet, ha avvertito nelle riunioni del gabinetto di sicurezza che l’occupazione di Gaza City non eliminerà Hamas e comporterà perdite pesanti anche per Israele. Ma rispetta gli ordini ricevuti. «L’esercito ha avviato l’operazione di occupazione» entrando in zone mai raggiunte prima. «La guerra non si fermerà finché il nemico non sarà sconfitto», ha detto parlando a un gruppo di riservisti.

Da parte sua Netanyahu procede senza curarsi delle critiche internazionali. Anche il Belgio, tramite il ministro degli Esteri Maxime Prévot, ha annunciato la disponibilità a riconoscere lo Stato di Palestina, condizionando però il passo alla liberazione di tutti gli ostaggi israeliani e all’esclusione di Hamas dal governo di Gaza.

Intanto, nelle ultime ore, in Cisgiordania è scattata una nuova ondata di arresti: tra i detenuti anche il sindaco di Hebron, Taisir Abu Sneineh.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto



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