Don Ciotti: “Droghe, in Italia troppi silenzi”

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Torino – Eros, 19 anni morto a Roma. Concetta 26 anni, morta a Torino, Piero 22 anni, morto a Milano. Sono i nomi dei primi morti di droga in Italia. A ricordare queste e altre vite spezzate dalla tossicodipendenza è stato don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele, in apertura del convegno nazionale “Dipendenze e consumi” che si sta svolgendo a Torino, a 35 anni dall’approvazione delle legge 685 sulla droga: “Nel 1975 – ha affermato – in questa città , mettemmo un cartello con questi nomi. Presidiammo con una tenda piazza Solferino, dove 200 persone digiunarono con noi per chiedere una legge attenta e puntale, che non mandasse più le persone tossicodipendenti in ospedale psichiatrico o in carcere e si considerasse la droga come una questione da affrontare sul piano sociale e non punitivo”. Dopo 35 anni da quella lotta, che portò il parlamento ad approvare una legge all’avanguardia, il Gruppo Abele invita ad una nuova riflessione, a partire dalle criticità , rompendo – ha ricordato don Ciotti – “quei silenzi, troppi nel nostro paese, che hanno permesso una deriva dall’ambito sociale a quello penale” per fare delle nuove proposte, che verranno esposte al termine delle due giornate di approfondimento, a cui stanno partecipando oltre 400 iscritti da tutta Italia e 30 relatori.

“Negli anni Settanta – spiega Leopoldo Grosso, psicologo, vice presidente del Gruppo Abele – si trattava di far emergere il fenomeno, togliergli il tabù che lo copriva e fornirgli una prima “rappresentazione sociale” perché venisse assunto a livello istituzionale. Prima della 685 per le persone tossicodipendenze l’alternativa era il carcere o l’ospedale psichiatrico. Ma già  allora le comunità , nella loro fase pionieristica, avevano dimostrato che era possibile emanciparsi dalla dipendenza. Si era in cerca di una soluzione valida universalmente per la cura della tossicodipendenza. La storia di tutti questi anni ha dimostrato che non c’è una soluzione unica, ma ogni volta un approccio ulteriore che si somma ai precedenti e a un’ampia possibilità  di interventi. Negli anni Novanta arrivò la prima modifica alla 685, che poneva l’accento sulla punizione dei consumatori, rispondendo di fatto a necessità  più politiche che sociali. Il Gruppo Abele con molte altre realtà  del sociale creò un cartello il cui slogan recitava “educare, non punire” e strappò modifiche significative a questa legge. Il dato positivo fu lo stanziamento di risorse per la cura e la prevenzione della tossicodipendenza e la vittoria del referendum del 1993 che ne abolì gli aspetti più repressivi”.

Gli anni Novanta sono stati anche quelli dell’esplosione dell’Aids: “Uno studio della Lila – ha proseguito Grosso – ha sottolineato come fino al 1996 le persone tossicodipendenti morte per Aids furono 24mila, ovvero tanti quanti i tossicodipendenti morti per overdose”. Da allora la medicina basata sull’evidenza, assieme ad un’accresciuta attenzione alla prevenzione, alla cura, ma anche alla “riduzione del danno”, ha consentito di migliorare le aspettative di vita delle persone tossicodipendenti, che i quegli anni non superava i 40 anni.

Da allora ad oggi, a cambiare con i consumi, sono state anche le condizioni sociali, come ha ricordato don Ciotti: “Oggi viviamo una condizione di impoverimento non solo economico, dovuto dalla crisi, che ha accresciuto l’ansia e la disperazione nelle persone, ma anche sociale, etico e culturale». La riduzione del fondo per il sociale nel nostro Paese, che si ripercuote sui servizi di accoglienza e sostegno sociale parla chiaro sul disinvestimento in questo settore: i fondi destinati al sociale erano 2 miliardi 500 milioni, oggi 379 milioni di euro. “Questo nuovo modello di società  – ha spiegato Leopoldo Grosso – porta le persone a vivere in uno stato di “continuo sovraccarico” per dirla con le parole del sociologo e giornalista Gà¼nter Amendt – e così cresce la richiesta di psicofarmaci e delle droghe da prestazione, con un significativo aumento dei consumi di cocaina a scapito dell’eroina. Un cambiamento che i narcotrafficanti hanno letto e assecondato, facendo della cocaina la nuova droga di massa, reperibile a prezzi bassi, oggi seconda per consumo solo alla cannabis tra le sostanze illegali”.

Di narcotraffico si parlerà  in uno dei laboratori di approfondimento in corso di svolgimento. Un affare redditizio, quello del traffico di droga. Il prodotto al mondo che offre margini di guadagno tra i più elevati per la malavita. Una montagna di soldi, che le mafie italiane non si lasciano sfuggire e che vengono riciclati nei settori più redditizi dell’economia legale, dal sud al nord del Paese. “Certo, è necessario proseguire nell’ambito della prevenzione – ha concluso don Ciotti – perché questo mercato continuerà  ad esistere finché ci sarà  la domanda delle sostanze, ma la vera lotta, prima che alla droga, è al narcotraffico, a quei sistemi criminali che ingrassano sulla produzione e il consumo”. 

 

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