Thailandia, elezioni boicottate. Tutto da rifare

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L’escalation di vio­lenza tanto temuta per le ele­zioni gene­rali alla fine non si è veri­fi­cata. Ma le buone noti­zie fini­scono qui. Le azioni di disturbo dei mani­fe­stanti anti-governativi sono riu­scite a infi­ciare i risul­tati elet­to­rali, e l’unica pro­spet­tiva poli­tica a breve ter­mine per la Thai­lan­dia rimane quella della para­lisi. Dopo il blocco par­ziale della tor­nata anti­ci­pata di dome­nica 26 gen­naio, la Com­mis­sione Elet­to­rale ha annun­ciato ieri, alla chiu­sura dei seggi, che le ele­zioni gene­rali si sono svolte rego­lar­mente solo in 306 cir­co­scri­zioni su 375, pari all’89% del totale dei seggi. La foto­gra­fia del voto riflette un paese già da tempo spac­cato in due.

Nelle popo­lose aree del nord, abi­tate da un elet­to­rato di estra­zione pre­va­len­te­mente rurale e filo-governativa, il pro­cesso elet­to­rale è andato avanti senza pro­blemi, men­tre al sud — roc­ca­forte delle élite monarchico-nazionaliste che da mesi chie­dono le dimis­sioni della pre­mier Yin­gluck Shi­na­wa­tra, la sospen­sione della demo­cra­zia e la for­ma­zione di un «governo del popolo» a nomina non elet­tiva — circa tre quarti degli aventi diritto non hanno voluto o potuto votare sia per il boi­cot­tag­gio in corso, sia per la man­cata aper­tura dei seggi dovuta ai bloc­chi degli antigovernativi.

A Ban­g­kok, dove da più di tre set­ti­mane pro­se­gue l’operazione Shut­Down, il lea­der del Pdrc Suthep Thaug­sban non ha man­te­nuto nem­meno que­sta volta la pro­messa di impe­dire ai suoi uomini di ostruire l’accesso ai seggi. Non si è votato nei distretti di Rat­cha­thewi, Din Daeng oltre che a Lak Si, tea­tro sabato di una spa­ra­to­ria da far west che ha pro­vo­cato almeno sette feriti, di cui due gior­na­li­sti. La Com­mis­sione Elet­to­rale non ha ancora annun­ciato i risul­tati del voto, in attesa di fis­sare le date per nuove ele­zioni sup­ple­tive nei distretti in cui non è stato pos­si­bile votare dome­nica, pro­cesso che potrebbe richie­dere set­ti­mane o mesi prima di essere por­tato a termine.

Nono­stante la quasi certa vit­to­ria del Pheu Thai, il par­tito della pre­mier, cir­co­lano molti dubbi riguardo la vali­dità delle ele­zioni. Il prin­ci­pale par­tito di oppo­si­zione, che porta iro­ni­ca­mente il nome di Par­tito Demo­cra­tico (Dp) ed è l’artefice con il Pdrc del boi­cot­tag­gio, ha già annun­ciato l’intenzione di fare ricorso alla Corte Costi­tu­zio­nale per chie­derne l’annullamento. La costi­tu­zione pre­vede anche che, affin­ché il nuovo par­la­mento sia auto­riz­zato a legi­fe­rare, deve essere eletto almeno il 95% dei mem­bri, e non si intra­vede la pos­si­bi­lità di rag­giun­gere que­sto risul­tato se prima non ver­ranno smo­bi­li­tati i bloc­chi nel sud del paese.

La stra­te­gia di Pdrc e Dp è quella di evi­tare ogni dia­logo e inde­bo­lire Shi­na­wa­tra, costrin­gen­dola a pre­sie­dere un governo ad inte­rim dai poteri enor­me­mente limi­tati, impos­si­bi­li­tato a richie­dere i finan­zia­menti neces­sari a pla­care la cre­scente rab­bia dei con­ta­dini, a cui ancora non sono stati rico­no­sciuti i paga­menti delle loro quote nella rac­colta del riso. Meno pro­ba­bile, ma ancora non da esclu­dersi, è l’intervento nella con­tesa dei mili­tari, spe­cie nel caso di una nuova esca­la­tion. Le cami­cie rosse, movi­mento filo-governativo radi­cato spe­cial­mente al nord, hanno già annun­ciato che in caso di golpe o di annul­la­mento delle ele­zioni scen­de­ranno in massa su Ban­g­kok, e che que­sta volta lo faranno armati.

La posta in gioco rimane comun­que alta e il nuovo governo potrebbe ritro­varsi a rico­prire un ruolo stra­te­gico nella gestione della pos­si­bile suc­ces­sione di Sua Mae­stà Re Bhumibol.


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