Immigrati contro il governo. Class-action per i loro diritti

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La prima class-action contro un’amministrazione pubblica, quella promossa da Cgil e patronati contro il Viminale per tutelare i diritti negati dei migranti per permessi di soggiorno e cittadinanza
Non più soli davanti al razzismo e alla infinite lungaggini burocratiche della legge Bossi-Fini. I migranti che hanno scelto di stabilirsi in Italia ma che hanno trovato sul loro cammino di integrazione gli ostacoli derivanti da una legge mal concepita e malissimo applicata hanno dalla loro parte Cgil, patronato Inca e Fedeconsumatori che, per la prima volta nel nostro paese, lanciano una class action contro il Viminale. L’azione legale collettiva, la prima contro un’amministrazione pubblica, riguarda i ricongiungimenti familiari, la correttezza dei procedimenti, la concessione della cittadinanza italiana nei tempi previsti, il riconoscimento dello status di lungo soggiornante. Tutti ambiti che fanno passare il migrante da soggetto che in teoria sarebbe portatore di diritti a persona fortemente discriminata. «Un ritardo di 2-4 anni nell’espletamento di una pratica di cittadinanza o di permesso di soggiorno per un cittadino immigrato spiega Vera Lamonica, segretario confederale della Cgil comporta conseguenze importantissime su quella persona: oltre ad essere discriminata e a volte perseguitata, anche quando vede riconosciuti ad esempio dei diritti di cittadinanza, poi il migrante si vede discriminato nella possibilità  di goderne effettivamente». Per Lamonica quindi «il ministero dell’Interno deve mettere in condizione gli immigrati di godere dei loro diritti su cittadinanza e permesso di soggiorno». Da notare che il Governo chiede a ogni migrante un contributo di 200 euro per le spese di evasione di ogni domanda di cittadinanza. Una «tassa occulta sulla pelle della povera gente» secondo la Cgil, visto che le pratiche in realtà  non vengono evase per anni (a fronte del numero di immigrati che aumenta esponenzialmente, il numero degli addetti delle uffici preposti cala in proporzione) e i cittadini stranieri pagano il balzello per rimanere in una sorta di limbo giuridico in cui comunque sono sempre parte lesa. Ora la decisione di procedere con la class action, «certo non è quella americana commenta Morena Piccinini, presidente dell’Inca ma l’obiettivo è quello di dimostrare come la pubblica amministrazione sia totalmente inadempiente rispetto ai tempi che essa stessa si è data per il disbrigo delle pratiche e fare in modo che si rientri nella normalità  di un’azione che non sia vessatoria nei confronti dei cittadini migranti». Un atto che vuol essere nel contempo di tutela degli immigrati e di pressione sul ministro degli Interni. Qualora questi non dovesse dare risposte positive il sindacato si riserva di citarlo per danni. Nello specifico sono due le azioni legali collettive intraprese. La prima riguarda il permesso di soggiorno ed è finora sottoscritta da una decina di persone. La seconda riguarda la cittadinanza e gli immigrati coinvolti sono 63. Le liste si allungano di giorno in giorno. Il valore simbolico del gesto è fortissimo, tuttavia l’avvocato Luca Santini fa notare come dietro questi 63 nomi ci siano altrettante storie di inefficienza, di vessazioni quotidiane, di rinvii arbitrari per documenti mancanti, di insulti, di razzismo strisciante e manifesto, di diritti negati.


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