Marchionne: l’Italia cambi atteggiamento negli Usa mi ringraziano, qui mi insultano

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VENEZIA – Nei confronti della Fiat «l’Italia deve cambiare atteggiamento». Atterra a Venezia, ha ancora negli occhi il sonno della trasvolata oceanica e il ricordo dei festeggiamenti con Obama nello stabilimento in Ohio. Sergio Marchionne non perde l’occasione per un confronto: «Venerdì la gente ringraziava per quello che è stato fatto invece di insultare. Io non voglio essere ringraziato ma lo stabilimento Chrysler è stato rilanciato grazie a Chrysler stessa, con l’aiuto della Fiat. Se questo lo si può fare in Usa è possibile farlo anche in Italia». Certo per l’ad al momento è molto più agevole vivere a Detroit che a Torino. Non solo per il braccio di ferro con il sindacato che arriverà  il 18 in tribunale («Gestiremo la vicenda del ricorso della Fiom») ma anche per le frizioni con gli imprenditori: «Non ho nulla contro Confindustria, nonostante qualche recente dichiarazione. Ma noi abbiamo degli accordi che hanno ottenuto il consenso della maggioranza dei lavoratori e non possiamo, nonostante questo, trovarci nella situazione di doverci difendere. Non possiamo accettare che l’appartenenza alla Confindustria indebolisca la Fiat. Capisco le ragioni storiche ma la Fiat viene prima di tutto».

I problemi della sponda europea sono anche quelli del mercato: «Ora in Italia c’è un’inversione di tendenza ma, svuotato il tubo dall’effetto incentivi, il mercato italiano non è sano, è sui livelli del 1996». Pesa sempre di più invece il mercato americano dove «la vendita delle 500 proseguirà  aumentando il numero dei concessionari» e dove «la produzione di Chrysler supererà  nel 2011 quella di tutta la Fiat». È a questo punto che nasce il giallo della giornata. Rispondendo a un cronista della Bbc, Marchionne spiega che «non si tratta di spostare il quartier generale a Detroit ma di rivedere la governance del gruppo alla luce del fatto che la produzione in America è superiore». La frase viene rilanciata come se l’ad avesse escluso di spostare la testa del gruppo da Torino a Detroit. Invano lo stesso Marchionne si è affrettato a spiegare che «il trasferimento della sede legale non è all’ordine del giorno perché non è stata fatta una scelta», che «si tratta di un dilemma». Rettifiche che non fanno cessare il clamore mentre il presidente di Fiat, John Elkann, sostiene che «dagli annunci fatti negli ultimi giorni il ruolo e le attività  italiane non possono che uscire rafforzate» e che comunque, anche dopo la fusione tra Fiat e Chrysler «Exor rimarrà  il primo azionista del nuovo gruppo». Quanto alla quotazione in borsa di Chrysler è Marchionne a gettare acqua sul fuoco: «Se acquistiamo la quota di Veba forse l’Ipo non è necessaria», perché era stata pensata principalmente per valorizzare le quote del fondo del sindacato.
Avviata a soluzione la pratica americana, la strategia di Torino guarda ora ai mercati emergenti: «Abbiamo presentato giovedì un piano da un miliardo e 100 milioni di dollari per produrre 120 mila auto all’anno in Russia», annuncia Marchionne aggiungendo che presto verrà  dato nuovo impulso alle attività  in Cina.
(p.g.)

 


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