«La primavera araba è irreversibile ma è in agguato il partito dell’ordine»
PARIGI — Dopo la primavera dei popoli, l’inverno dello scontento. Dai nuovi incidenti in Tunisia ed Egitto fino ai massacri in Siria, la democratizzazione fatica ad avanzare. È arrivato il momento dela reazione? «Non credo, la rottura con la cultura politica dominante nel mondo arabo degli ultimi 60 anni è definitiva— dice lo studioso francese Olivier Roy, specialista del mondo arabo e professore all’Istituto universitario europeo di Firenze —. Autoritarismo, ideologia, conflitto arabo-israeliano, anti-imperialismo sono stati accantonati in favore della richiesta di democrazia e buon governo, e di un patriottismo che ha rimpiazzato il nazionalismo. Questo è irreversibile» .
Perché la battuta d’arresto? «La primavera araba è stata sostenuta solo da una parte della popolazione, essenzialmente i giovani. Poi, gli ambienti conservatori tentano non di tornare al mondo precedente, cosa impossibile, ma almeno di limitare la democratizzazione, ripristinando la stabilità e con essa i privilegi delle élite» .
Chi sono i conservatori? «Quel che resta dell’ancien régime (soprattutto in Tunisia e Egitto), l’esercito, gli islamisti, gli ambienti religiosi tradizionali, che temono la secolarizzazione della società , e gli uomini d’affari, che hanno plaudito alla fine delle dittature ma adesso sono spaventati da rivendicazioni sindacali e scioperi. Poi i regimi ancora al potere: Libia, Siria, Yemen, Giordania, Marocco, Bahrein. In Marocco, la monarchia sta cercando di cambiare perché nulla cambi. Riforme di superficie per mantenere il potere nelle mani del re» .
Da cui il ritorno dei manifestanti nelle piazze. «L’avanguardia del movimento democratico è esasperata e torna a protestare: in Tunisia, Egitto, Marocco, con il problema ormai urgente però di trovarsi una base popolare più larga. Siamo a una specie di stallo dove i conservatori possono riprendere in mano la cosa pubblica, a condizione di abbracciare in parte la democratizzazione. Da cui l’interesse delle elezioni: non è scontato che a vincerle saranno i protagonisti delle rivolte» .
Difficoltà più evidenti in Tunisia, che pure aprì la strada? «Succede quel che capitò all’Europa dopo il Quarantotto, nel XIX secolo. Avanza un partito dell’ordine che accetta la fine del clan Ben Ali ma tenta di limitare i progressi sociali. I contestatari non riescono a formare un partito politico: questa è una grande sorpresa, il movimento resta senza leader, la contestazione spontanea non è rivoluzionaria» .
In Egitto l’esercito potrebbe colmare il vuoto politico? «Se in Turchia gli ufficiali hanno a lungo ricoperto un ruolo di garanzia, in Egitto potrebbero giocare in prima persona formando un partito. Poi c’è il peso dei Fratelli musulmani. Ma alle elezioni gli islamisti potrebbero anche fermarsi al 20-25%» .
La situazione nello Yemen assomiglia a quella libica? «Sì, il movimento democratico era pacifico, ma l’appoggio che le grandi tribù del Nord hanno dato ai manifestanti ha provocato una guerra civile dove il leader Saleh cerca di battersi fino all’ultimo, come fa Gheddafi. Qui però nessuno interverrà , cosa che limita i danni, se posso dire» .
C’è il rischio di una guerra civile anche in Libano? «Per salvarsi, il dittatore siriano Assad cerca di infiammare tutta la regione, ma non credo che Hezbollah scatenerà una guerra per fedeltà all’alleato. Il regime siriano gode dell’aiuto dell’Iran, ma il giorno in cui il popolo si rivoltasse in tutte le città , l’esercito di leva passerebbe dalla parte dei dimostranti e per Assad sarebbe finita» .
E le monarchie della regione? «La Giordania è, come Yemen e Libia, un Paese diviso, tra giordani di origine palestinese e beduini. L’elemento federatore è la monarchia; rovesciarla potrebbe portare allo scontro tra le due comunità , da cui una certa prudenza».
L’Arabia Saudita verrà toccata? «La sua particolarità è il peso della manodopera straniera. A soffrire sono i lavoratori immigrati, non i cittadini sauditi. E la redistribuzione della rendita petrolifera è piuttosto avanzata, mentre per esempio in Algeria i proventi di gas e petrolio sono andati a lungo solo all’élite» .
Dopo l’estate l’attenzione tornerà sui palestinesi? «La questione non è più al centro dei movimenti politici. Per questo i palestinesi rilanciano il tema dello Stato indipendente. Hanno ormai interesse a essere percepiti come un altro popolo in lotta per il progresso, e non più come l’avanguardia della nazione araba in lotta contro Israele» .
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