Sud Sudan, nasce lo Stato E i profughi tornano a casa

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JUBA (Sud Sudan)— Erano in pochi fino a dieci anni fa a credere che in Africa sarebbe venuto alla luce un nuovo Stato. Invece oggi, 9 luglio, si compie il miracolo: nasce una nuova nazione, il Sud Sudan. Il parto non è stato agevole ed è durato una trentina d’anni. Di guerra.
A combattersi le tribù arabe, bianche e musulmane del Nord, e quelle africane, nere, cristiano animiste (ma con una buona percentuale islamica) del Sud. Un conflitto brutale che ha costretto almeno un milione di sudisti ad abbandonare le proprie case e i propri beni e a fuggire. Molti sono finiti a nord, dagli odiati nemici. Oggi stanno tutti tornando nelle loro città  e nei loro villaggi e nel porto fluviale di Juba, capitale del nuovo Stato, sul Nilo, decine di chiatte cariche di poveracci arrivano da Khartoum, dove i sudisti vivevano in campi di fortuna o adattandosi a fare i lavori più umili. Gente che ritorna senza nulla, con qualche straccio addosso, ma con il cuore carico di speranza. Agnes e Ben, tre figli piccoli, sono scesi dal barcone tre giorni fa e sono accampati sulla riva del Nilo in attesa di partire per il loro villaggio, Nimule: «Veniamo da Port Sudan, dove siamo rimasti 20 anni.
Abbiamo viaggiato un mese. e mezzo. Finalmente siamo liberi e nella nostra patria» . Accanto alla coppia c’è Susy, la sorella di Ben, insegnante di inglese. «Io ero scappata in Uganda e ho vissuto in un campo profughi per qualche anno. Ora sono rientrata in patria. Non torno però al villaggio, resto qui a Juba— aggiunge con grande orgoglio svelato da un sorriso a tutto viso —. —. Mio marito è un soldato dell’esercito del Sud Sudan» . Nella loro capanna improvvisata ci sono poche cose: un paio di pentole e un’enorme bandiera del nuovo Stato.
L’indipendenza potrebbe essere l’occasione per spezzare il ciclo mortale della violenza e della povertà . In Sud Sudan un bambino su tre è gravemente malnutrito, i tassi di mortalità  materna sono i più alti al mondo, l’analfabetismo è una condizione normale. Con una popolazione uguale a quella di Milano e Roma messe assieme, il nuovo Paese ha meno di 400 ragazze diplomate alla scuola superiore. Le giovani quaggiù hanno più probabilità  di morire durante la gravidanza o il parto che di avere una buona istruzione.
Pace e sviluppo. Di questo avrebbe bisogno il nuovo Paese. Ma il nord non vuole perdere il controllo dei pozzi di petrolio al confine tra i due Paesi e ha invaso la contea contesa di Abyei, ricca di oro nero, costringendo le popolazioni africane di dinka nkok a scappare. Bombardato anche il Sud Kordofan, che gli arabi di Khartoum non vogliono perdere. La regione è abitata dai Nuba, neri ma in maggioranza musulmani, che hanno partecipato alla guerra di secessione con il Sudan people’s Liberation Army. Anche nel Blue Nile, altra regione contesa tra Nord e Sud, si rischia il finimondo. I sudanesi del nord hanno sobillato gruppi ribelli del sud per combattere il nuovo governo. A capi e capetti locali rinnegati sono stati promessi ricchi premi in cambio della loro lealtà  a Khartoum.
Oggi il presidente del Sudan (del Nord) Omar al-Bashir, ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità  e genocidio commessi dalle sue truppe in Darfur, sarà  a Juba a festeggiare (ma per lui non dev’essere propriamente una festa) l’indipendenza del Sud. La sua presenza sul palco dei grandi dignitari sarà  imbarazzante per le delegazioni europee (per l’Italia arriverà  il viceministro degli Esteri Alfredo Mantica) ma non per quelle africane che di fatto hanno accettato di ignorare le decisioni della Corte. La Cina, imperterrita nella sua espansione africana senza scrupoli, fornisce a Bashir armi e sostegno politico in cambio di petrolio e minerali. Eppure ha interessi petroliferi anche a sud e dovrebbe esercitare pressioni in favore di un confine smilitarizzato e di una distensione che facilita il business.
Oggi gli aiuti al Sud Sudan potrebbero avere un effetto stabilizzante. Il nemico che il nuovo governo dovrà  affrontare è la povertà  endemica, aggravata dalla mancanza di servizi essenziali: scuole e ospedali. Una sfida enorme da affrontare in pace. I prossimi mesi saranno cruciali per capire se ciò sarà  possibile.


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