Bancarotta, contagio e rivolte sociali ecco quanto costerebbe il crac di Atene

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ATENE – Titolo: “L’addio della Grecia all’euro”. Genere: tragedia (e che altro?). Trama: svalutazione da brividi, crac bancari e societari con rischio contagio per tutto il continente e conseguenze imprevedibili. Più recessione garantita, una feroce guerra commerciale e la possibilità , per quanto remota, di rivolte sociali e svolte autoritarie. Fanta-finanza? Può darsi. «Faremo di tutto per impedire un fallimento incontrollato di Atene», ha ribadito ieri Angela Merkel, che oggi nel primo pomeriggio incontrerà  in teleconferenza il presidente francese Nicolas Sarkozy e il primo ministro greco George Papandreou. I mercati però si nutrono di numeri. E con i cds ellenici che quantificano al 97% la possibilità  di un crac di Atene, qualcuno ha iniziato a fare di conto: cosa succederà  se la Grecia sarà  davvero costretta a uscire dalla moneta unica? Ubs ha provato a rispondere a questa domanda, evitando per bon ton di indicare espressamente Atene nel suo studio. Lo stesso ha fatto Citigroup. Lo scenario dipinto dalle Cassandre elvetiche e americane (e su cui, non lo ammetteranno mai, stanno lavorando Ue e Bce per preparare adeguate contromisure) è però da Armageddon. Ecco la fanta-cronaca – che tutti si augurano rimanga tale – del default minuto per minuto.
Fase uno: l’annuncio. La costituzione Ue prevede un solo modo per uscire dall’euro. L’articolo 50 del trattato di Lisbona secondo cui l’addio può avvenire solo per decisione e volontà  del paese coinvolto (anche se non prevede meccanismi per attuarlo davvero). Nel caso della Grecia, dunque, ad annunciare la decisione dovrebbe essere unilateralmente Atene quando non avrà  più soldi per pagare i creditori. Lo studio Ubs è categorico. Il default deve essere uno «choc» senza preavviso. Il giorno X, dicono gli esperti, non è prevedibile sul calendario. Ma quasi sicuramente sarà  un sabato. A mercati chiusi e dopo aver pianificato con gli organismi internazionali tutte le misure necessarie per ridurre al minimo gli effetti collaterali e il contagio. Questo spiega il nervosismo che ogni venerdì, ormai da qualche settimana, serpeggia sui mercati.
Il rebus della dracma-bis. In caso di default, restano due strade. La prima soft (si fa per dire) – caldeggiata da Citigroup – prevede una drastica ristruttrazione del debito. Atene – stimano gli americani – ne rimborserebbe solo il 15-35% con pesanti conseguenze per i creditori ma restando nella area euro. L’alternativa è il ritorno alla dracma. Tutti i depositi bancari e gli strumenti finanziari sarebbero convertiti dalla sera alla mattina, con un’implicita drastica svalutazione. Di quanto? Le mezze misure – scrive Ubs – non servono. Meglio tagliare del 50-60% il valore della nuova moneta, come nelle crisi sudamericane degli anni ‘80 e ‘90. Citigroup punta invece al 40%. I tempi tecnici per mettere in circolazione le nuove banconote e rinegoziare i contratti internazionali rischiano però di non essere brevi, con ovvie conseguenze sulla gestione della transizione. In caso di addio all’euro, la Grecia – scrive Citigroup – potrebbe rifiutarsi di pagare i suoi debiti. E le perdite per i creditori (banche ma pure Bce e Fmi) salirebbero al 90-100%.
Assalto alle banche e dazi. L’ipotesi del default e poi il suo arrivo hanno, ce lo insegna la storia, un effetto certo: la corsa dei risparmiatori in banca per svuotare i conti correnti e salvare i loro euro prima che diventino (più o meno) dracma straccia: Portandoli all’estero o nascondendoli nel materasso. Ad Atene in molti hanno già  mangiato la foglia e i depositi sono calati in un anno da 240 a 180 miliardi. Dopo l’addio all’euro, per evitare nuove emorragie di liquidità , è probabile che la Grecia imponga forti controlli sui capitali, bloccando i prelievi elettronici, mettendo un tetto a quelli fisici e stringendo i controlli alle frontiere, scrive Ubs. Tutte le banche nazionali dovrebbero essere ricapitalizzate nel breve periodo per far fronte ai loro obblighi in valuta. Problemi simili avrebbero le società  industriali e gli istituti esteri esposti con il paese coinvolto, costretti a svalutare gli asset interessati. Se la Grecia torna alla dracma e svaluta, l’Europa non potrà  non reagire. La strada più semplice è l’imposizione di dazi doganali alle merci greche di un importo simile alla svalutazione pilotata da Atene. Salterebbero tutti gli accordi di scambio con la Ue e la conseguenza, stima Ubs, sarebbe un crollo del 50% dei volumi di commercio tra il paese e il resto del continente.
Effetto-domino e costi. Un minuto dopo l’addio della Grecia all’euro, dice Citigroup, partirebbe l’effetto domino nei paesi più fragili della moneta unica, Italia compresa. Tutti gli investitori privati cercherebbero per prudenza di ritirare i loro soldi dalle banche e uscirebbero dai loro investimenti. Gli istituzionali farebbero lo stesso per evitare perdite e non rimanere impelagati in interminabili querelle giudiziarie. Di più: nessuno di loro, con ogni probabilità , tornerebbe a sottoscrivere debito pubblico delle nazioni più deboli. Risultato (secondo Citigroup): una disastrosa crisi del sistema bancario continentale e una profonda recessione per tutta Europa. La Grecia invece avrebbe enormi difficoltà  a rimettere in carreggiata i suoi conti visto che sarebbe di fatto tagliata fuori da aiuti e mercati internazionali. I greci (calcola Ubs senza indicare direttamente il paese) pagherebbero in media nel primo anno un pedaggio tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa al crac, compresi i soldi necessari per tenere in piedi le banche. Gli anni successivi il costo pro capite sarebbe di 3-4mila euro. Un default controllato di Grecia, Irlanda e Portogallo con taglio del 50% del valore del loro debito e riacquisto del loro debito costerebbe ai tedeschi – dice Ubs – solo mille euro.
Il rischio geopolitico. E’ il capitolo più delicato dell’analisi di Ubs. Nessuna unione monetaria, sottolinea la banca elvetica, è saltata senza qualche corto circuito geo-politico, nel senso di disordini, guerre e svolte autoritarie. Vale per l’America nel 1932-33 con il giro di vite verticista di Roosvelt, per la dissoluzione dell’Unione monetaria Sovietica, sfociata in altrettanti regimi non democratici, per i problemi della Slovacchia dopo l’addio alla unione valutaria con la repubblica Ceca e – più indietro nel tempo – per il divorzio della Gran Bretagna dall’Irlanda e quello dell’unione Latino monetaria europea attorno al 1870. Il tutto senza contare i problemi di coesione sociale interna dei paesi travolti da un evento straordinario come questo. «L’addio all’euro della Grecia avrebbe conseguenze mostruose», ha detto pochi giorni fa il Nobel Robert Mundell, uno dei padri della valuta europea. Lo stesso, fatto il loro lavoro di analisi, sostengono Citigroup e Ubs. La loro conclusione è la stessa: le autorità  internazionali – scrivono – devono salvare la Grecia. Ed evitare a tutti i costi che la fanta-cronaca del default ellenico si trasformi in una drammatica realtà .


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