Ponzellini vuole i soldi di Arpe “Bene nel capitale, senza gestire”

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CERNOBBIO – Segnali di fumo tra Massimo Ponzellini, e Matteo Arpe, potenziale socio forte della Banca popolare di Milano post ricapitalizzazione, tramite il fondo Sator. In una cornice da guerra psicologica, tra il presidente dell’istituto che sta cercando contatti con la vigilanza creditizia per ridurre da 1,2 miliardi a 1 miliardo l’onerosa e rischiosa operazione in agenda a ottobre, e l’ex banchiere di Capitalia che sembra aspettarlo sulla riva del fiume. Lontano dagli scontri, e disponibile a intervenire solo se si formasse un diffuso consenso al suo intervento. «Arpe è benvenuto nel capitale della Bpm – ha detto ieri Ponzellini, tornato dopo un trentennio al Workshop Ambrosetti – così come tutti gli altri investitori interessati a sostenere Piazza Meda in vista della ricapitalizzazione fino a 1,2 miliardi di euro. Basta che uno ci metta i soldi e sono tutti benvenuti». Tuttavia il presidente non ha alimentato le voci di un possibile coinvolgimento di Arpe nella gestione, che da qualche mese è nelle mani del direttore generale Enzo Chiesa (anch’egli a Cernobbio ieri). «Non abbiamo bisogno di manager in questo momento, anche se lui è bravissimo e mi è anche simpatico – ha aggiunto il presidente – e comunque non credo che Arpe sia interessato a guidare la nostra Popolare».
Del resto, Bpm, in seguito all’ispezione della Banca d’Italia ha avviato una riorganizzazione interna delle prime linee di manager, adesso sotto la guida del nuovo direttore generale, Enzo Chiesa. Sul fronte di Sator un portavoce ha detto che la società  «non intende commentare questi rumors ricorrenti»; ma non è da escludere che qualche contatto tra le parti possa partire. Sator sembra disponibile a investire 200 milioni di euro nell’aumento, ma solo a patto di poter dire la sua sulla gestione della banca meneghina.
Intanto il titolo, in una seduta non facile per tutti i listini, si è distinto per le perdite: meno 6% fino a 1,38 euro. Con questa tabella di marcia diventa sempre più difficile e delicata la ricapitalizzazione, che tiene in ansia anche il consorzio garante retto da Mediobanca e composto da una decina di istituti perlopiù stranieri. Il rischio di alta diluizione esiste: con uno sconto attorno al 25% sull’emissione, gli attuali soci (in maggioranza, dipendenti o ex) dovrebbero versare quasi il doppio del corrente investimento per difendere la quota, e la probabilità  di inoptato è elevata. I banchieri d’affari del consorzio sono preoccupati, ma la compattezza del pool finora sembra tenere. Anche per questi motivi Ponzellini e il suo team starebbero sondando la possibilità  di un aumento più contenuto; tuttavia è difficile che Bankitalia receda dalla severità  e dagli assunti espressi mesi fa, dopo l’ispezione in Bpm e le aspre critiche che imposero di ricapitalizzare. Il 13 settembre è in agenda un cda e da lì dovrebbero uscire i dettagli dell’aumento. Intanto ieri è giunta anche un’apertura da parte del sindacato Uilca-Bpm, che si è detto favorevole all’ingresso di nuovi soci nella banca tramite aumento «purchè gli stessi condividano l’attuale governance, il voto capitario e la centralità  dei dipendenti». Condizioni non facili da accettare da parte di nuovi investitori.


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Il diritto a non essere licenziati senza giusta causa e giustificato motivo è l’impalcatura su cui si regge lo Statuto dei lavoratori. La motivazione è perfino ovvia: la paura di perdere il posto di lavoro rende più deboli, più silenziosi, più soli, meno capaci di rivendicare condizioni di lavoro migliori, meno forti nel difendere salute e sicurezza nel posto di lavoro. La paura rompe le solidarietà  tra eguali, avvelena la vita.

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