Indignados a New York Occupata Wall Street

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NEW YORK — In Liberty Square, a un passo dalla Borsa di New York e da Ground Zero, c’è fermento. I ragazzi di OccupyWallSt.org accampati sotto gli alberi dello Zuccotti Park sono sempre pochi, qualche centinaio. Come avviene da giorni, è più imponente l’assalto di giornalisti, cineoperatori e turisti, soprattutto asiatici, che arrivano a ondate, armati di videofonini. E, come nei giorni scorsi, i due lati della piazza sono presidiati da un cordone di poliziotti che assistono impassibili alla progressiva trasformazione di eventi come la beffarda marcia dell’«opening bell» — la parodia, alle 9,30, della cerimonia d’apertura delle contrattazioni allo Stock Exchange — da manifestazioni spontanee in riti-fotocopia, ripetuti quotidianamente.

A due settimane dall’inizio del «sit-in» anticapitalista, però, questo movimento sparuto, senza leader, senza obiettivi definiti e con istanze che vanno dall’abolizione della Federal Reserve al ritiro dall’Afghanistan, non sta scivolando, come molti prevedevano, nell’irrilevanza. Anzi, da un paio di giorni nell’aria si respira qualcosa di diverso. E non è solo l’aria di sfida con la quale dipendenti e broker osservano dai balconi del palazzo della Borsa il corteo dei manifestanti, bicchiere di «champagne» in una mano, macchina fotografica nell’altra: la protesta anticapitalista di questi gruppi di giovani si sta allargando ad altre città  â€” ieri Chicago e San Francisco, oggi Boston, domani Washington, domenica Los Angeles — mentre i sindacati, che fin qui sono stati a guardare, cominciano a scendere in campo al fianco degli studenti. Anche il capo della Afl-Cio Richard Trumka dà  la sua benedizione.

Arriva altra gente incuriosita dalla voce (poi smentita) di un concerto «a sorpresa» della «band» inglese dei Radiohead, mentre in televisione il sindaco Michael Bloomberg usa toni vagamente minacciosi: «La finanza va sostenuta, non demonizzata. Le banche danno lavoro e senza il loro credito l’economia non cresce. Chi protesta ha diritto di far sentire la sua voce, ma gli altri cittadini hanno lo stesso diritto. E devono potersi muovere liberamente. Vedremo cosa fare nei prossimi giorni». Uno sgombero forzato? Patrick Bruner, uno dei portavoce del movimento, sembra più lusingato che spaventato dall’ipotesi. Mediaticamente sarebbe una manna per i manifestanti. OccupyWallSt.org, un movimento senza leader che si ispira alle rivolte della «primavera araba», aveva lanciato la sua offensiva due settimane fa: «Andiamo in 20 mila a paralizzare i templi della finanza». Arrivarono poche centinaia di ragazzi: gente della sinistra alternativa, ma soprattutto studenti universitari o neolaureati alle prese con un mercato del lavoro che non offre più sbocchi.

Ignorati dai grandi media, i ragazzi di Zuccotti Square sono arrivati nei Tg e sulle prime pagine dei giornali solo quando la polizia ha cominciato a usare grosse reti di plastica gialla per cercare di dirottare un corteo diretto a Union Square e un agente italoamericano, Anthony Bologna, ha usato in modo scriteriato il suo spray al peperoncino per bloccare un drappello di ragazze che marciavano senza minacciare nessuno: immagini riprese con una webcam che hanno fatto in un attimo il giro del mondo.

«È bello quello che accade qui», dice Carney Ross, un ex diplomatico britannico divenuto consulente d’affari che lavora nel distretto finanziario e che ogni mattina si ferma qui a dare consigli. «Ma devono allargare la loro base e mettere a fuoco il messaggio. Ora è vago». Il paragone con Tahrir Square non sta in piedi né come confronto numerico, né sul piano politico. Diversi studenti egiziani che vivono a New York, pur simpatizzando con la protesta, hanno già  liquidato come una bestemmia il confronto tra il dittatore Mubarak e i tycoon della finanza Usa. I ragazzi di Manhattan, semmai, somigliano a quelli del Cairo sotto un altro profilo: quello dell’uso sapiente e tempestivo dei social media, Twitter per diffondere i messaggi, chiamare a raccolta gli attivisti, «fare rete» anche nelle altre città . I video su YouTube e il «livestream» televisivo su Internet, per dare risonanza con una diretta mondiale on line a una manifestazione di portata limitata, ma che si svolge nel luogo-simbolo del capitalismo.

In un’America quasi mai toccata da proteste sociali durature, i più sono convinti che con l’arrivo dei primi freddi spariranno anche i giacigli dei ragazzi che bivaccano a Liberty Square. Ma stavolta, come nel caso del Vietnam, i ragazzi manifestano non per qualcosa di remoto — la Palestina, il Tibet — ma per la loro vita: allora la chiamata alle armi, oggi il cupo futuro lavorativo. Forse Bloomberg sta davvero pensando di sgombrare la piazza prima che la saldatura coi sindacati del trasporto pubblico e dei servizi apra qualche scenario imprevedibile.


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