Scajola: fiducia inevitabile, poi ci smarchiamo

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ROMA – Il voto di fiducia sarà  pure «al presidente Berlusconi e non a questo governo», come ha spiegato ieri sera a cena Claudio Scajola a una quindicina di parlamentari a lui più vicini, riuniti ancora una volta in un ristorante romano. Certo è che per chi, tra i suoi, si preparava fin d’ora a «staccare la spina» all’esecutivo in agonia, la decisione assunta dall’ex ministro ha avuto tutto il sapore della frenata.
Del resto, matura dopo il secondo pranzo in due giorni col Cavaliere a Palazzo Grazioli. Altre due ore di confronto serrato, a quattr’occhi, sulla soluzione migliore per uscire dalla crisi. «Per come si sono messe le cose, dovresti fare un passo indietro, è la via d’uscita che più ti conviene» è stato il suggerimento schietto, «da amico», di Scajola. «Nessuno ti può obbligare, sia chiaro, sarà  una valutazione tua». Ma l’ennesimo crollo in aula dimostrerebbe a suo dire che «il rilancio non basta, bisogna allargare la maggioranza, aprire a Casini». Il premier tuttavia non ha alcuna intenzione di accettare la condizione posta dal leader Udc, ovvero le dimissioni. Per lui sarebbe una sconfitta, l’ammissione di un fallimento. Altra cosa la disponibilità  – che Berlusconi oggi ribadirà  nel suo intervento – a dialogare coi moderati. Se non un nuovo premier, almeno si dia vita a un nuovo governo, è stato il secondo rilancio di Scajola: un Berlusconi-bis, ricambio ai ministeri strategici, a cominciare dall’Economia. Ipotesi che il presidente del Consiglio ha promesso di prendere in considerazione. Come pure l’ex ministro avrebbe invocato un ricambio ai vertici del gruppo, anche alla luce della «scarsa tenuta» sul rendiconto dello Stato, e una riorganizzazione del partito e dei congressi con le tessere: «Non possono continuare a esistere i tre vecchi coordinatori col nuovo segretario». Su tutto il capo del governo ha annuito, ha apprezzato i suggerimenti, ha preso tempo. Alla fine, Berlusconi dirà  a capigruppo e ministri pidiellini di aver «recuperato Claudio e i suoi» e di potersi ora occupare di rilanciare il governo col voto di fiducia di domani, considerato scontato.
Scajola sarà  più cauto, raccontando in serata quanto avvenuto ai parlamentari. Li aveva convocati e ascoltati già  in mattinata per due ore, prima di tornare dal premier. Una strategia concordata con Beppe Pisanu e Roberto Formigoni, con i quali i contatti telefonici restano costanti. Domani voto di fiducia, passaggio che i «malpancisti» ritengono «inevitabile». Scajola non ha ancora deciso – ma è probabile – se prenderà  la parola in aula domani per sottolineare quel che non va.
A seguire, qualcuno sostiene già  da domani, la pubblicazione del documento per la «discontinuità », sul quale la raccolta di adesioni è già  in corso. Le firme tuttavia non sono sufficienti a dar vita a un gruppo parlamentare. L’obiettivo allora diventerà  il «logoramento» quotidiano, finché non sarà  Berlusconi a decidere di gettare la spugna. «Di certo da domani tutto non potrà  proseguire come prima – spiega uno degli scajoliani più impegnati – Dovremo smarcarci, creare una componente strutturata che tratti sui singoli temi, che abbia una propria autonomia». E il modello pensato è quello del Forza del Sud di Micciché. Primo terreno di battaglia, il decreto sviluppo. Al Senato, accanto a Pisanu stanno lavorando altri pidiellini quali Baldini, Amato, Saro, Orsi, Lauro, Scarpa Bonazza. Alcuni dei cosiddetti frondisti hanno ricevuto ieri la telefonata «rassicurante» di Angelino Alfano. Il segretario in pubblico getta acqua sul fuoco: «Nessuna fronda, un normale dibattito, con Scajola un franco dialogo nel partito». E le dichiarazioni ufficiali dei deputati vicini all’ex ministro non sono distanti. «Da Scajola e dai suoi amici mai una sfiducia a questo governo» dice Michele Scandroglio. Ignazio Abrignani precisa: «La fiducia a Berlusconi non è in discussione». Anche al governo? «Fiducia in Berlusconi». La voteranno pure i tre “responsabili” in fibrillazione (Sardelli, Milo e Marmo), non così Santo Versace, già  ex Pdl, perché «serve un esecutivo di unità  nazionale», e nemmeno Calogero Mannino. Mancherà  anche il voto di Pietro Franzoso, degente in ospedale. Assenze ininfluenti, calcola tuttavia il pallottoliere di Verdini.


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