Eurogruppo diviso sul ruolo della banca centrale

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BRUXELLES – Il tempo incalza, ma la soluzione non appare a portata di mano. I ministri dell’Eurogruppo riuniti ieri a Bruxelles hanno dovuto constatare che i progetti per potenziare le capacità  di intervento dell’Efsf, il fondo salva Stati, restano ben al di sotto delle aspettative. L’idea di coinvolgere le potenze emergenti, dalla Cina al Brasile, nell’operazione di salvataggio dei Paesi europei finora non ha dato risultati. E dunque, anche con tutti gli espedienti di «leveraging», il fondo difficilmente riuscirebbe a superare una «potenza di fuoco» di mille miliardi: largamente insufficiente se si dovesse intervenire con prestiti per finanziare il debito spagnolo o italiano. Una ipotesi, quest’ultima, che dopo l’ultima asta di Btp conclusa a tassi superiori al 7%, appare sempre meno accademica.
È inevitabile che, a questo punto, l’attenzione di tutti si punti verso la Bce i cui interventi di acquisto dei bond sul mercato secondario finora sono stati «limitati e temporanei» e non sono manifestamente riusciti a calmierare la crescita degli spread dei Paesi più in difficoltà . Ma un intervento della Bce si scontra con tre difficoltà . In primo luogo il suo statuto di autonomia, che vieta qualsiasi ingerenza formale dei governi nella gestione della Banca centrale. In secondo luogo lo statuto della Banca, che le impedisce di finanziare direttamente i Paesi e di essere «prestatore di ultima istanza», contrariamente alla Federal Reserve americana. Infine la manifesta ostilità  della Germania, secondo cui la Bce deve occuparsi solo della stabilità  dei prezzi e non del salvataggio della moneta unica. Per cercare di aggirare almeno i due primi ostacoli, si fa dunque strada l’ipotesi che la Bce intervenga indirettamente, finanziando una dotazione speciale del Fmi, che a sua volta potrebbe intervenire prestando denaro ai Paesi in difficoltà . Nel loro incontro di Washington, Barroso e Van Rompuy hanno avuto in questo senso il via libera del presidente americano, preoccupatissimo per le conseguenze mondiali di un naufragio dell’euro. Resta aperta la questione del veto tedesco. Ed è questo il vero nodo da sciogliere entro il vertice europeo dell’8 e 9 dicembre. La Germania insiste sulla necessità  di rafforzare le regole di bilancio, prevedendo sanzioni automatiche sia finanziarie sia politiche per i Paesi che non seguono le indicazioni di Bruxelles. Si studia affannosamente una modifica dei Trattati, o la possibilità  di un accordo intergovernativo sul modello Schengen per l’eurozona. Ma finora Berlino non ha lasciato capire con chiarezza quanto sarebbe disposta a concedere sul fronte della solidarietà  in cambio di un rafforzamento della governance, che pure solleva non poche resistenza in molti Paesi, tra cui la Francia. Sul fronte dei dissidi franco-tedeschi c’è da registrare anche la contesa per il posto di capo economista della Bce. Sia il nuovo membro francese, Benoit Coeurè, nominato al posto dell’italiano Bini-Smaghi, sia il nuovo membro tedesco, Joerg Asmussen, che siederanno nel board, sono candidati al prestigioso incarico. E Draghi si trova un’altra grana sul tavolo.
Ieri intanto i ministri hanno finalmente sbloccato la sesta tranche del prestito alla Grecia, mentre il secondo prestito, già  deciso, resta legato ai negoziati sul taglio del debito.


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